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Tutto è santo


Maurizio Modugno, Il castello musicale, Zecchini, Varese 2021, pp.332, euro 33,00

Queste parole, di rara intensità, messe in bocca al centauro Chirone da Pasolini nella sua “Medea” cinematografica, esprimono una visione etica dell’arte, spesso alla ricerca di valori assoluti, difficili da misurare.


Maurizio Modugno è uno dei critici musicali più acuti e curiosi che oggi possiamo vantarci di avere.

In questo volume antologico si avvia una riflessione complessiva sull’interpretazione musicale all’interno dei suoi addentellati storici e autoreferenziali.

Il libro si compone di saggi staccati che però, nell’insieme, compongono una visione totale dell’argomento, il nocciolo del quale potrebbe essere la ricerca di quella visione “onnicomprensiva” che cerchiamo in ogni esecuzione musicale.

Il tema è ben focalizzato nel primo testo, basato sulle parole pasoliniane, dove si mostra, con grande precisione ed erudizione, come il “sacro” sia di per sé l’attributo stesso della vita e non solo di un genere specifico come la “musica sacra”. Ogni grande opera contiene, nella sua unicità, qualcosa che la eleva al di sopra della nostra attenzione. Quindi anche il carisma di una grande interpretazione ha la facoltà di condurci all’interno di viaggi interiori inimmaginabili.

A questo punto voglio evidenziare l’analisi appassionata della discografia del “Don Giovanni” di Mozart: un vero e proprio breviario dell’anima di chi si accosta alla musica come ad una dimensione trascendente. Perché il significato più vero di ogni realizzazione artistica è spesso disperso all’interno di miriadi di istanti, di attimi raggiunti e subito abbandonati. La perfezione, spesso desiderata, risiede nell’inestinguibile volontà di capire e ricercare :

per questo “tutto è santo”, perché il “sancta sanctorum” è nel “tutto”.

Nel suo peregrinare da un testo all’altro ( Tristano, Carmen e Don Giovanni ) l’autore ci indica lo sconforto, spesso dissimulato, di non trovare “ricette” sicure per una facile visione critica di ogni capolavoro.

Esemplare il mosaico di certezze e disillusioni che costituisce l’analisi della discografia della “Missa solemnis” di Beethoven. In questo caso l’elemento “spaziale”, la realizzazione “fisica” del suono, nella sua dimensione “tridimensionale”, costituisce l’arcano indecifrabile dello stesso lavoro.

Per quanto riguarda Luchino Visconti, Maurizio Modugno non è stato l’unico a voler proporre una sintesi della sua estetica nell’opera lirica.

Non possedendo documentazioni video delle sue

realizzazioni teatrali, dobbiamo affidarci a delle foto di scena o alle cronache giornalistiche.

Tirare le somme della sua dovizia teatrale prendendo spunto dal cinema, è una comoda scorciatoia che non porta a nulla.

Luchino Visconti diventa l’esemplificazione di una coscienza perduta, assimilabile alla materia dei sogni.

E’ da notare che Visconti è stato forse l’unico regista a proporre dei punti di riferimento estetici ai grandi cantanti e ai grandi direttori d’orchestra.

Consiglierei di guardare un raro filmato del 1969 in cui Visconti istruisce Leonard Bernstein nella difficile direzione del Falstaff di Verdi.

Le interviste contenute nel volume mostrano il rapporto incompiuto dell’artista con la sua opera.

Una solitudine che il fruitore non conosce e non riuscirebbe ad immaginare.

Ecco allora il disincanto di Petrassi quando osserva che spesso i suoi presunti estimatori non conoscono un solo titolo della sua opera.

Nel ritratto del direttore d’orchestra croato Lovro von Matacic emerge il suo essere un superstite di un epoca scomparsa: la Vienna Felix.

Nessuna “diminutio” stigmatizza questi artisti rispetto alla loro opera. Quello che emerge è la vacuità del nostro mondo rispetto alla vastità dell’arte.

“Locus iste”, parafrasando un celebre mottetto, il libro illustra anche il contatto fra il luogo dell’evento artistico e la scomparsa del luogo stesso.

Oltre a ricordare alcune “prime romane” di Donizetti e Verdi e il vecchio teatro Apollo, demolito per arginare le piene del Tevere, viene rievocata anche l’inglorioso abbattimento dell’Augusteo, unica e storica sala da concerti italiana.

Sul versante del balletto ritengo molto interessante il testo dedicato alla stesura del “Lago dei cigni”.

Le vicissitudini relative al completamento della partitura da parte di Ciaikovski mettono in luce che il primo abbozzo venne concepito durante le vacanze in Ucraina. Un elemento in più per mettere in contatto le sorti di questo martoriato paese con la storia della musica.

L’iter composito, frammentario, spesso integrato da altri musicisti, evidenzia l’aspetto irrisolto e tormentato delle opere del compositore russo.

Il recente lavoro del musicologo tedesco Christoph Flamm, sta proponendo una nuova “lectio” su cui dovranno misurarsi le prossime esecuzioni ciaikovskiane. Questo breve saggio anticipa una tendenza critica destinata a divenire consuetudine.

Non possiamo che apprezzare l’intelligenza di Maurizio Modugno nel delineare momenti fondamentali della musica europea, insistendo in modo particolare sul tema interpretativo.

Ma è la costante umana, la “santità” stessa della

creazione, ad essere al centro delle sue sottili disamine. Una religiosità totale che nasce all’interno della vita stessa, intesa come continua ricerca e perfezione.

Sergio Mora




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