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Racconti terrestri e lunari





Introduzione:


Questi racconti sono assolutamente originali. L’autore punta sull’essenziale, realizza dei distillati di narrazioni, eliminando i tradizionali addobbi che affliggono la letteratura. La quale è spesso gravata di imitazioni di imitazioni, a causa dei saccheggi (in guanti bianchi e in guanti neri) del grande romanzo Ottocentesco e del buonismo in odore di santità portato dalla mentalità new age (un surrogato della religione). L’autore di questi racconti non è buono e non ruba neanche una virgola alla letteratura “nobile”. È invece un osservatore della commedia umana con umori alti e bassi. Sicuramente è un idealista, sta fra terra e cielo, ma, se si può dir, razionalmente. È più sensibile che consapevole, è curioso, ama il prossimo suo (e se stesso) al punto di volerlo migliore di quello che è. Armato di tutto questo, ha realizzato delle storie dotate di una ricchezza interiore non comune. Il fascino delle quali sta nella loro dinamica, nel loro motore interno, di cui veniamo a conoscenza dei meccanismi, magici, suggestivi, che d’accordo o in opposizione determinano il funzionamento della macchina-uomo in quell’istante. I tanti “motori” si incontrano senza sospettare dei loro meccanismi che, a seconda delle circostanze, li fanno muovere in quel modo. Per tutto ciò, non esiste l’inseguimento dell’eleganza letteraria convenzionale (una trappola nella quale cadono spesso idee buone, precipitano propositi) bensì la creazione di un’eleganza particolare, caratterizzata da sintesi nelle quali sussiste una ricchezza di motivazioni oggettive, non artificiali. L’autore fa un’operazione inversa, rispetto a quelle consuete: cerca di stanare il senso delle cose, non ci parla sopra o di lato. Ne esce una letteratura nervosa, zigzagante, felicemente regolata da un’ironia di fondo che salva, in vari modi, ogni situazione e fa venir voglia di leggere ancora e ancora.


Il riconoscimento


Morta la moglie, le tre figlie di Filippo, professore in pensione da tempo, si dissero che non era il caso di lasciarlo solo. Invece, passato il lutto, peraltro di pochi giorni, date le diverse e pressanti incombenze (fatte salve quelle del vecchio che ne aveva assai poche), le tre figlie presero a farsi vedere di rado, cavandosela con telefonate frettolose e con la promessa di fargli avere una badante, da lui sistematicamente rifiutata. Un giorno la sorella più piccola disse alle altre due che era andato a trovarlo di sorpresa e non l’aveva trovato in casa. Così la sorella media prese a pedinarlo e scoprì che Filippo andava in un circolo culturale distante circa trecento metri da casa che l’uomo, con gambe ormai non buone, percorreva passo dopo passo con infinita pazienza, ma anche con cocciutaggine. Avrebbe potuto starsene a casa in pantofole a vedere la televisione e ad addormentarsi tranquillamente davanti ad essa ed invece faceva quella faticaccia per il verso di una poesia, il passaggio di un romanzo, o una noiosa sinfonia. La sorella maggiore, scoprì, però, che al ritorno dal circolo, Filippo si lasciava accompagnare da una donna, una cinquantenne bionda, che in un secondo tempo scoprì chiamarsi Emanuela. Le tre sorelle si radunarono e come delle vere cospiratrici si chiesero cosa avesse questa Emanuela più di loro. Il padre non le chiamava più e quando telefonavano, chiudeva rapidamente la conversazione. Correva da Emanuela? Pardon, date le gambe, era Emanuela che correva da lui? E perché? Voleva, la donna, circuirlo, prendergli buona parte della pensione e magari farsi intestare la proprietà della casa? E quella della casa al mare, pur malridotta? I sospetti minacciarono di farsi certezza quando si vide Filippo salire su una grossa macchina guidata da Emanuela e sparire lungo la strada verso sud, verso il mare. Era una macchina rubata? Il padre lo sapeva? Perciò la sorella maggiore fu incaricata di telefonare al padre e di metterlo con le spalle al muro. Si voleva fargli capire quanto fosse diventato ingenuo e poco affettuoso. Ma Filippo la interruppe subito. Spiegò, con voce ferma, che fra lui ed Emanuela c’era effettivamente qualcosa d’importante: una specie di affinità elettiva che faceva amare ad entrambi le belle cose. Lei l’aveva tirato fuori da una situazione difficile, aveva impedito che si chiudesse in casa e che fosse condannato alle leggi sciocche della vecchiaia. Vi, disse, con un po’ di risentimento, pensavate per me una badante, mettendovi a posto la coscienza e sparendo dalla circolazione. Emanuela mi tratta come un essere umano, non come un rottame. C’era della felicità nella seconda frase. Una felicità che stemperava il melodramma. Le tre sorelle si sentirono ferite, ma non si diedero per vinte. A turno ripeterono il mantra della profittatrice, pensando di saperla lunga. Filippo, però, aveva capito che non avevano capito niente e visse spensieratamente quel che poté vivere.


Dario Lodi









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