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Raccontare la musica: esprimere la passione!



Queste recensioni hanno per oggetto la comunicazione della storia della musica ma anche un modo di vivere l’esperienza dell’ascolto come esperienza totale di vita e di conoscenza.


Guido Zaccagnini: Una storia dilettevole della musica, Marsilio editore, 2022, pp.496, euro 19,00


I

numerosi modi di raccontare la musica e i musicisti non tiene conto delle difficoltà e dei contrasti che le loro vite hanno incontrato. Si preferisce l’analisi attenta e imparziale di ciò che di loro rimane: le loro opere. Il racconto della musica si arricchisce anche degli aspetti sociali e storici delle varie epoche, mostrando come l’estetica sia il riflesso delle conquiste tecnologiche e del progresso umano.

Il libro di Zaccagnini vuole offrire un panorama di difficoltà, sconfitte, delusioni e avversità: il contesto naturale in cui si afferma il prodotto del genio.

Soprattutto questo libro vuole demitizzare l’immagine

del compositore come portatore di verità assolute.

Nella musica come nella pittura e nella letteratura, la grandezza del valore estetico si fa strada attraverso un percorso per nulla lineare che deve tener conto di numerosi elementi, non ultima la competitività fra gli stessi compositori e la società che li circonda.

I ritratti di musicisti proposti da Zaccagnini mostrano le “discrasie” della loro arte, l’atteggiamento critico dei contemporanei ma anche le analisi spietate dei tempi più recenti. Questo mostra come la musica sia di per se’ un arte sperimentale, continuamente sottoposta a revoche stilistiche e a giudizi mai totalmente parziali.

Mi piace leggere in questo saggio i giudizi su Mozart e il suo celebre Requiem. E’ questo un vero e proprio campo minato in cui i musicologi non riescono a trovare l’ultima e definitiva parola conclusiva.

Zaccagnini evidenzia la distanza stilistica di quest’opera con il resto della produzione mozartiana e ricostruisce, in modo obiettivo, le intromissioni di altri compositori meno dotati. Si apre l’eterna domanda sull’equivoco mozartiano del capolavoro.

Uno spazio non effimero è dedicato a Giacomo Meyerbeer, compositore a cui ultimamente è stato dedicato un saggio significativo di Roberto Monaco e di cui l’ultimo libro di Paolo Isotta ha offerto una sintesi illuminante.

Di Beethoven si propone la “vexata quaestio” della Nona sinfonia. Ci si dimentica l’insoddisfazione dello stesso compositore che avrebbe voluto sostituire l’ultimo movimento, quello dell’ode di Schiller, con una conclusione solo strumentale desunta da un suo quartetto d’archi.

Quello che può stupire nel libro è la sommatoria spietata di giudizi erronei a cui sono costantemente andati in contro i grandi della musica. Il villaggio globale delle contumelie e degli insulti, a cui oggi siamo abituati tramite i “social”, esisteva già, magari in forma diretta, due secoli fa.

Ancora una volta la musica viene mostrata come un arte estremamente reattiva che produce effetti vivi e virulenti sul pubblico e gli stessi musicisti.


Daniele Rubboli: Nino Martini, un veronese a Hollywood, edizioni Artestampa, novembre 2022, pp.148, euro 20,00


Anche in questo caso ci troviamo davanti ad un appassionante racconto di una vita dedicata alla musica. Come nel volume, recensito lo scorso anno su Giulio Neri, l’argomento riguarda la storia di un nostro connazionale che, tramite le proprie doti vocali, si è fatto strada nel mondo dello spettacolo raggiungendo una notevole popolarità soprattutto in America.

Il protagonista di questa monografia è un cantante praticamente ignoto a gran parte dei melomani che ebbe una forte notorietà negli anni d’oro di Hollywood grazie alla nascente industria cinematografica.

Nino Martini fu anche a lungo una stella del Metropolitan di New York con un cospicuo numero di opere in repertorio e la collaborazione di illustri colleghi. Malgrado questo avvincente “sogno americano” il cantante veronese sembra essere stato recluso in un limbo senza memoria collettiva, come se la sua carriera si fosse svolta invano. Eppure il nostro artista è stato al centro del mondo del cinema soprattutto nel momento in cui il sonoro faceva ampio uso delle possibilità musicali che esso offriva.

Non dimentichiamo che il primo film sono americano è “Il cantante jazz” e il primo film sonoro italiano è “La canzone dell’amore”: entrambe pellicole improntate ad un evidente palcoscenico musicale per evidenziare le potenzialità della nuova tecnologia.

Il libro offre un racconto davvero appassionante di questa carriera costruita su duplici canali di comunicazione, non ultimo il “medium” radiofonico e televisivo. Daniele Rubboli, grande conoscitore di cantanti e di carriere spesso “sepolte”, offre ancora una volta un simpatico e informatissimo “excursus” storico, ricco di notizie che toccano l’economia, la gastronomia e naturalmente il mondo dello spettacolo.

Storie come quella di Nino Martini e di Giulio Neri ci indicano la ricchezza di esperienze che si nasconde dietro nomi apparentemente poco conosciuti ma che sono stati, per un periodo non effimero, al centro della vita artistica.


Fabio Mollica: Johann Strauss, il valzer, Vienna e la danza, Audino editore, 2022, pp. 112, euro 15,20



In questa interessantissima pubblicazione di Fabio Mollica, raccontare la musica significa esplorare un mondo che tutti noi diamo per scontato ma che non è mai stato sufficientemente analizzato: il mondo del valzer e della musica detta d’intrattenimento.

I saggi storici o critici scritti sul padre del valzer sono pochissimi e non sempre sufficientemente informati a livello di documentazione.

Con il termine di musica di intrattenimento non dobbiamo credere di catalogare una qualità artistica di marca inferiore. A Vienna, accanto alla musica detta colta, fioriva il genere popolare della musica da ballo e delle operette, come connubio fra l’aspetto evoluto dell’armonia e l’utilizzo di formule folkloristiche di immediato accesso al divertimento.

Già Mozart e Haydn avevano contribuito all’abolizione di una netta demarcazione fra il colto ed il popolare.

Gustav Mahler aveva compiuto gli studi di composizione a Vienna con Robert Fuchs, specializzato nell’armonizzazione di musica popolare e nella scrittura di musica “leggera”.

Un particolare che solitamente non viene evidenziato nella formazione del compositore boemo è la sua solida preparazione in una materia che gli renderà possibile la trasmigrazione di temi popolari all’interno di costruzioni armoniche complesse: l’utilizzo di stilemi formali cari al mondo dell’intrattenimento.

Il saggio di Mollica evidenzia la preparazione accurata di Joahnn Strauss nella redazione dei suoi valzer dove, accanto alla matrice estemporanea, si unisce il contemporaneo influsso della scuola compositiva viennese. In questo modo il valzer di Strauss supera la modestia della formula da ballo per assumere la veste più ampia di quadro sinfonico, sviluppando una tendenza già proposta dai primi autori di danze, Pamer e Lanner, quella della suite.

Grazie a questa integrazione fra l’aspetto sinfonico e quello di musica coreutica, il valzer di Strauss diventa un genere a se stante, riflesso dell’evoluzione tecnica della scuola musicale contemporanea.

Merito del saggio di Mollica è anche quello di analizzare il contributo di Strauss nella definizione dell’orchestra come gruppo musicale, anticipando la visione storicistica della nascente Filarmonica.

Non dobbiamo dimenticarci che il “tempo rubato” diventerà una costante della tecnica esecutiva viennese, estendendosi ad un ambito di repertorio che va da Bach a Bruckner.

Non trascurabile è anche il rilievo di storia del costume e del progresso sociale dato dal valzer e dalla diffusione dei saloni da ballo. Un nuovo mondo si apre nell’Ottocento dove la borghesia si mescola all’aristocrazia nella diffusione dei suoi riti iniziatici: il valzer è uno di questi.

Il tema della spettacolarizzazione del divertimento è una delle costanti di questo studio davvero indispensabile. Strauss prende dal teatro l’utilizzo di melodie celebri e crea la teatralizzazione delle serate di divertimento. L’aspetto audacemente imprenditoriale delle sue trasferte europee esportò lo stile strumentale viennese ad una vasta platea di ascoltatori.


Sergio Mora





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