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Piero della Francesca e la pala di Brera




Piero della Francesca nasce a San Sepolcro nel 1416. La condizione agiata della famiglia (ricco commerciante di tessuti il padre, nobildonna la madre) gli consente un’infanzia serena e la possibilità di dedicarsi allo studio. La matematica diventa il suo primo interesse; scriverà trattati su questa materia insieme a studi sulla geometria prospettica. Dopo i vent’anni comincia a girare per diverse città italiane: Urbino, Bologna, Roma, Ferrara. Nella città estense conosce Van der Weyden che contribuisce al completamento della sua formazione artistica, valorizzata dalla tecnica e dalla sensibilità pittorica fiamminga. Piero diventa ben presto famoso; la sua bravura è contesa da molte corti italiane. Dal suo talento nascono capolavori di valore assoluto che segnano la storia dell’arte italiana. Alla sua bottega lavorano artisti del calibro del Perugino e di Signorelli. Il Battesimo di Cristo sua prima opera del 1439 (National Gallery di Londra), La storia della Vera Croce (Arezzo), Madonna di Senigallia e Flagellazione di Cristo (Urbino) e, soprattutto la Pala di Brera (Pinacoteca di Brera – Milano) esprimono pienamente le grandi capacità pittoriche di Piero. La possibilità di avvicinarsi ai suoi dipinti con letture su livelli diversi, ne fanno un pittore unico nel panorama del Rinascimento italiano. I suoi lavori possono essere giustamente valutati come sintesi tra tradizione e modernità e sono caratterizzati da un uso molto raffinato della prospettiva ed una sontuosa eleganza nella rappresentazione delle scene. Umanista convinto, propone comunque quasi sempre scene religiose. Inoltre, mai viene trascurata la dettagliata descrizione della realtà, caratteristica della pittura fiamminga.

Come si diceva, il suo dipinto più conosciuto e più apprezzato è indubbiamente la Pala di Brera del 1472-74, noto anche come Sacra conversazione o Pala di Montefeltro. Si tratta di una grande tavola (248x170 cm.) arrivata a Milano nel 1811, carica di significati simbolici. Anche, e soprattutto in questo caso, il dipinto si presta ad una lettura su piani differenti. Quello religioso, per così dire, ufficiale (comune alle tante Sacre Conversazioni del periodo). L’opera, non va dimenticato, nasce come quadro votivo progettato per l’altare maggiore di una chiesa francescana. Quello politico: il dipinto aveva una destinazione pubblica. Doveva celebrare la forza e l’autorità del sovrano che si presenta alla Vergine in alta uniforme (una costosissima corazza). Quello simbolico (due esempi): il ciondolo di corallo al collo del bambino (richiamo al sangue, alla vita e la morte); l’uovo di struzzo, simbolo della perfezione del creato ed evidente richiamo alla vicenda di Leda fecondata da Zeus sotto forma di un cigno, tema ripreso dagli umanisti del tempo come simbolo della Concezione di Maria da parte del Divino. Quello storico: il quadro è contemporaneo alle vittorie di Federico (presa di Volterra) che lo faceva uno dei capitani più ammirati d’Italia.

Federico viene ritratto nel primo piano dell’opera, nel suo profilo sinistro. Il duca aveva perso l’occhio destro, probabilmente in battaglia, per cui preferiva farsi ritrarre solo di lato (e l’amico Piero asseconda questo desiderio). Pare anche che si fosse fatto limare la parte superiore del naso per avere maggiore visibilità con l’occhio sano. Il quadro fu dipinto da Piero della Francesca quando aveva quasi sessant’anni e stava diventando praticamente cieco. Alcuni lavori ultimativi dell’opera vengono infatti attribuiti a Berreguete (Il pittore spagnolo lavorava alla corte di Federico da Montefeltro). La prospettiva, il rigore stilistico e la solennità della rappresentazione sono probabilmente il vero soggetto del quadro. Roberto Longhi ha annoverato La Pala di Brera tra i dieci quadri più importanti del mondo. Mi sono soffermato brevemente su alcuni aspetti e chiavi di lettura di questo notevole dipinto. Il modo migliore per avvicinarlo penso possa essere però quello che ci suggerisce Antonio Paolucci: ”La Pala di Brera è uno specchio delle meraviglie … occorre entrarci in silenzio, comprenderne la maestà, la calma, lo splendore e poi affidarsi al piacere di guardare” (Franco Vergnaghi)




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