"Ci sono due tipi di silenzi, forse anche di più, ma fondamentalmente ce ne sono due che si collocano ad estremità opposte. C'è un silenzio privo di vita, che non è di nessuna utilità, e poi c'è l'altro silenzio, quello che costituisce il momento supremo della comunicazione [...] E' un momento di autentica condivisione. Fra questi due silenzi, fra il silenzio mortale, quello della noia a teatro [...] e l'altro in cui ci si sente davvero tutti in sintonia, un silenzio ricolmo di vita [...]c'è uno spazio in cui sorgono molte domande"
- Peter Brook-
Nel 1993, Peter Brook, su invito del prof. Dale Moffitt, rappresentante della Facoltà di Teatro della Southern Methodist University di Dallas, partecipò ad un Campus organizzato dal professore stesso , e presenziò a sei seminari, essendosi reso disponibile a rispondere alle domande degli studenti, diplomati e non, e di altre personalità influenti del mondo dello spettacolo che avevano preso parte a quei convegni. In quel contesto, il regista sollevò tanti spunti di riflessione per coloro che stavano dibattendo sul concetto di "fare teatro", attingendo da diversi episodi della sua esperienza sia in ambito teatrale, che cinematografico. Le posizioni di Brook erano riconducibili a quelle che vengono ancora oggi riconosciute a livello internazionale, come le sue principali ed imprescindibili teorie sul concetto di "esperienza artistica autentica e multiculturale", che lo hanno consacrato come uno dei maggiori esponenti del teatro contemporaneo.
Brook sottolineò come il teatro, secondo il suo modo di intenderlo, possa acquisire forza e dignità, quanto più non ceda alla tentazione di impartire lezioni o lanciare messaggi, ma aprendosi invece più possibile al confronto e alla contraddizione. Gli attori e il regista, pertanto, praticando l'arte della messinscena dovrebbero sempre "affiancare" gli spettatori, nella ricerca di qualcosa che potrebbe anche non essere immediatamente trovato. Questa apertura, secondo il regista, dovrebbe essere adottata ad ogni livello e in ogni situazione.
Altro concetto fondamentale della poetica di Brook, è l'importanza della condivisione e dell'interazione, azioni necessarie per chi si appresta a realizzare un lavoro di messinscena: il regista ha sostenuto che un progetto teatrale può aspirare alla vera autenticità e risultare pieno di energia, solo grazie allo scambio reciproco di esperienze e di idee. Secondo lui, il teatro non è nient’altro che “specchio” della vita, e ci parla della vita stessa; racconta di come, nel corso della sua carriera, abbia imparato a considerare la semplicità come un traguardo, comunque non definitivo, di ogni suo lavoro, frutto di un percorso disseminato di errori e di ripensamenti, d i chiarimenti e di sottrazioni. La tensione continua volta a trovare la vera semplicità, è sintomo della volontà del regista di raggiungere un livello alto di qualità, nonostante a nessuno sia dato sapere cosa essa sia realmente. Quel che è certo, è che alla qualità, ogni artista ci si può avvicinare, solo attraverso un infaticabile e paziente percorso, vissuto tra le “fenditure” di un silenzio, a sostegno della creatività, della capacità di osservare e del tentativo di comprendere se stesso e gli altri.
Peter Brook, durante la sua continua ricerca di ciò che, secondo lui, a teatro risultasse autenticamente primario, spostò principalmente l’attenzione sull’essere umano; e arrivò così alla consapevolezza che ciascuno di noi risulta inevitabilmente incompleto, sia come uomo che come artista, e che ha bisogno dell’apporto degli altri per arrivare ad un livello alto di intendimento e compassione, nella vita come sulla scena. Per questo motivo il teatro serve a congiungere. Il Maestro illustrò la traiettoria che seguiva per riuscire a raccontare storie che potessero essere comprese ad ogni latitudine, e spiegò quanto fosse forte in lui l’esigenza di avvicinare e mescolare ogni tipo di pubblico, per arrivare tutti insieme al cuore e al senso dell’esperienza teatrale. Non rinnegò mai gli elementi spettacolari, ma diede loro nuovo ordine e differente gerarchia, rispetto quanto era stato disposto dal teatro convenzionale. La sua continua ricerca della “varietà” di pubblico, lo ha allontanato progressivamente dagli spettatori del teatro europeo; lo portò ad esplorare spazi alternativi, che non avessero gli stessi limiti dei teatri tradizionali.
Questa sua scelta fu in qualche modo influenzata dalla sua conoscenza di altri due grandi innovatori del teatro in quel periodo:
-Antonin Artaud, dal quale recepì gli stimoli giusti per avviare il suo processo di rinnovamento;
-Jerzy Grotowski, dalla cui esperienza attinse molto durante la sua attività artistica.
Brook si trasferì a Parigi negli anni ’70 e li creò una compagnia di attori internazionale, composta da artisti provenienti da diverse parti del mondo, così da spingersi sempre di più all’interno di quel multiculturalismo che di lì in avanti ha caratterizzato tutte le sue opere.
Partendo da un’osservazione contenuta nel testo di Ted Hughes, dedicato all’in finita grandezza delle opere di Shakespeare (Shakespeare and the Goddess of Complete Being,1992), con l’intento di esplicare e sostenere ancora di più questo concetto di multiculturalismo, Brook si soffermò a riflettere sull’importanza della congiunzione “e” inserita in ogni frase delle opere del Bardo: fece notare come il grandioso autore, così tanto attuale , usasse la piccola congiunzione per unire in una stessa frase una parola edotta, per lettori nobili e acculturali, con una parola di uso comune, per agevolare la comprensione alla gente umile e senza scolarizzazione.
In questo modo Shakespeare permetteva a tutti di godere della rappresentazione , e faceva sì che nessuno si sentisse escluso dall’esperienza del teatro; lo stesso principio fu preso come obiettivo ultimo dal regista, che riuscì a diffondere la sua personale esperienza teatrale a livello mondiale.
ALCUNI CENNI BIOGRAFICI
Peter Brook, nato a Londra nel 1925, si è sempre occupato con passione di teatro, ed è diventato direttore artistico del Covent Garden Theatre di Londra appena ventenne. Ha abbandonato però presto l’incarico, per lavorare nella prosa con i più grandi attori inglesi del tempo, tra cui si ricorda Lawrence Olivier e Vivien Leigh, e per confrontarsi da regista con testi sia del teatro classico elisabettiano, che con autori contemporanei.
A rivelare Brook al pubblico internazionale è stata la regia di Tito Andronico (1955), realizzato in un periodo in cui il regista inglese si è dedicato intensamente anche al teatro shakespeariano, giungendo alla realizzazione del bellissimo King Lear (1962), opera in cui per la prima volta il palcoscenico si è rivelato come "Spazio vuoto" (questo il nome del più noto testo di Peter Brook sul teatro, scritto nel 1970), nel quale l’energia comunicativa è data dall’espressività degli attori, dal movimento dei corpi e dalle impressioni create con la recitazione.
Con quest’ opera Brook ha compiuto il primo passo verso una ricerca espressiva, fatta d’improvvisazione e creatività, compiuta sul palcoscenico con gli attori in modo sempre più radicale, eliminando il concetto tradizionale di “metodo” recitativo, e ponendosi in relazione con altre scuole teatrali europee, come quella di Jerzy Grotowski.
Nel 1970 Brook si trasferisce a Parigi per fondare il Centre International de Recherches Théâtrales, scuola di riferimento per molti attori internazionali contemporanei, con la quale il regista inglese porta avanti la propria sperimentazione di esperienze di rappresentazione, contrassegnate prevalentemente dalla ricerca di soluzioni linguistiche inedite e dalla rielaborazione di contenuti storico-mitologici propri di culture diverse da quelle occidentali. Del 1985 è il Mahabharata, lo spettacolo considerato una summa del suo lavoro.
Brook ha realizzato complessivamente quasi cinquanta spettacoli teatrali e otto film, ha curato cinque regie di opere liriche, ha scritto sei libri ed ha ricevuto più di trenta prestigiosi riconoscimenti in ogni parte del mondo.
Laura Carroccio
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