Raramente si approfondisce l'importanza del mezzo tecnico adoperato dagli artisti nelle diverse epoche per creare l'opera d'arte. Sino al tardo ‘700, i pigmenti venivano macinati nelle botteghe: Le scaglie di colore ridotte in polvere erano mescolate al tuorlo d'uovo ( durante il medioevo e parte del rinascimento) o all'olio di lino. La conoscenza dei materiali era uno dei fondamenti su cui si imperniava l'apprendistato dei pittori antichi. Alcuni pigmenti erano così preziosi da rappresentare motivo di stesura contrattuale. Improvvisarsi era quindi impossibile. Il colore nel tempo subirà una certa, naturale, trasformazione, a seconda dei casi (il sole è comunque il peggior nemico). Nel caso dei colori a tempera all’uovo (tecnica preferita dagli Italiani) si avrà una maggiore brillantezza grazie ai fosfolipidi contenuti nell’uovo stesso.
Nel 1841 il ritrattista americano John Rand inventò il tubetto di metallo morbido (stagno) nel quale poter conservare a lungo i colori costituiti da pigmenti in polvere mischiati all'olio di lino (Renoir dirà: "Senza i tubetti di colore non ci sarebbe stato l’Impressionismo, (la frase è in Colore, una biografia. Di Philip Ball)
Per la prima volta nella storia, il pittore si trovò nelle condizioni di disinteressarsi della tipologia e qualità del colore che avrebbe utilizzato per la propria opera. Si iniziarono a produrre colori per artisti su scala industriale con la conseguente inevitabile caduta vertiginosa della qualità dei pigmenti. Per fare un esempio: per i suoi celebri gialli van Gogh si servì di un colore composto da cromato di piombo misto ad olio di lino in tubetto prodotto industrialmente.
Il cromato di piombo degrada formando ossido di cromo, per cui questo giallo brillante è destinato ad annerirsi virando verso i toni bruni. Moltissimi pittori impressionisti adoperarono questo pigmento fortemente instabile. Il risultato è che le opere ammirate oggi sono molto diverse da come le hanno dipinte gli artisti. (Oggi il cromato di piombo è sostituito dal giallo di cadmio molto più stabile). Queste caratteristiche di bassa qualità e instabilità cromatica valgono per molti altri pigmenti utilizzati dagli impressionisti.
Ci troviamo quindi nell'impossibilità di conoscere la cromia originale dei dipinti del passato per via delle mutazioni cromatiche dei pigmenti costitutivi. Abbandonata la complessità della tecnica del passato, il dipingere consisteva semplicemente nello spalmare i vari colori già pronti in pasta (nei tubetti) sulla tavolozza e mescolarli insieme sino al raggiungimento della tinta desiderata.
Il pittore passava poi a stendere sulla tela il colore con il pennello (in molti usarono anche diversi tipi di spatole). Per rendere il colore più liquido alcuni aggiungevano essenza di trementina (ad esempio Cézanne). Una volta essiccati perfettamente tutti i colori del dipinto, si stendeva una vernice trasparente che proteggeva i pigmenti e li rendeva più brillanti (da qui il termine “vernissage”. Anche le vernici trasparenti subiscono, tuttavia, ossidazione e virano al giallo.
Dobbiamo pensare che l’arte pittorica è un’espressione umana, fra le più nobili, ma per certi versi è anch’essa soggetta alle continue mutazioni della Natura. Tutto ciò fa ricordare l’opinione del Vasari, per cui la vera arte sta principalmente nel disegno: il colore, secondo il fiorentino, ha una funzione secondaria (di abbellimento, si direbbe). Questa opinione rispecchia il senso ultimo dell’espressività umana: il disegno è ragione, mentre il colore è sentimento. L’uno fissa il momento, l’altro cerca d’indagare nella realtà per catturarla passionalmente, Operazione, quest’ultima, esposta, come s’è visto, a interventi naturali.
Roberto Giavarini
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