Quando mi è stato detto di scrivere qualcosa sul jazz, la prima domanda che mi sono posto è stata: “Il problema è farsi capire”, mai frase fu più azzeccata quando si parla di una musica che non segue un tempo lineare, ma basa il suo ritmo su sincopi e improvvise accelerazioni, dove il tema non è così sacro come nella musica cosiddetta colta, dove l’improvvisazione è qualcosa che va oltre gli schemi ed il linguaggio è fondato su un codice che non sempre è noto a chi è destinato. Per cercare di sbrogliare questa matassa comincerò a fornire una descrizione della città dove tutto questo è nato: New Orleans.
New Orleans era in origine una città francese e per alcuni aspetti lo è ancora.
Fu infatti un’esploratore francese Jean Baptiste Lemoyne de Bienville a fondare “la nouvelle Orleans” sulle rive del Mississippi nel XVIII secolo. La città fu poi per un certo periodo sotto il dominio spagnolo e anche la Gran Bretagna governò new Orleans per un breve periodo, fino a quando la Lousiana fu venduta agli Stati Uniti. In questa bella città adagiata sulla lussureggiante zona del delta giunsero emigranti da tutta Europa: francesi, tedeschi, italiani, spagnoli e inglesi.
Come una grande pentola essa accolse le loro usanze, le loro culture, la loro arte, la loro musica, a tutto ciò si aggiunge la forte influenza dei ritmi dell’Africa Occidentale, portati nel Nuovo Mondo dagli schiavi che di tanto in tanto venivano lasciati liberi di eseguire le loro strane danze e i loro riti in una parte della città nota come “Congo square”. I tedeschi e gli inglesi portarono le loro famose bande militari che naturalmente erano composte da cornette o trombe, tromboni, clarinetti, vari tipi di corni, con l’inevitabile apporto di strumenti a percussione, tamburi, piatti e campane.
Le quadriglie francesi con le loro orchestre da ballo formate principalmente da archi e legni (clarinetti, flauti e fagotti) diedero un notevole contributo. Un nuovo strumento, il sassofono, fu pure introdotto nelle orchestre da ballo e nelle bande militari.
Dall’Italia vennero l’opera lirica ed i suoi cantanti. La Spagna lasciò a New Orleans il flamenco.
Nel 1861 scoppiò la guerra civile e per quattro terribili anni le truppe del nord (Unione) combatterono sanguinose battaglie contro le truppe del Sud (Confederati). Come sappiamo vinse il Nord. Negli anni della ricostruzione e della emancipazione degli schiavi, la “pentola” di New Orleans incominciò a bollire generando quell’originalissimo ed unico tipo di musica che va sotto il nome di New Orleans Jazz e che tuttora a distanza di oltre cento anni viene perpetuato in tutto il mondo da un gran numero di musicisti pronipoti della magica città sul Delta del Mississippi.
Identificato storicamente il luogo ora cerchiamo di spiegare il modo con cui queste persone interpretavano quella musica che si chiama Jazz ed è semplicisticamente caratterizzata da:
swing (movimento ritmico generato da continue successioni di sincopi), da improvvisazione (la capacità di creare linee melodiche istantanee basandosi su un canovaccio armonico prefissato).
La verità è che i pionieri del Jazz (quelli delle marching band o che suonavano nei locali in Basin Street) non sapevano nulla di armonia, anzi non sapevano neppure leggere la musica. Ciascuno di loro eseguiva delle libere e prudenti variazioni sul tema. Si suonava ad orecchio ed il musicante africano inventava la sua musica nel momento in cui la suonava.
Era pura “espressione”, una musica che per chi ascolta non induce ad una degustazione di valori estetici, ma a un coinvolgimento fisico e totale dei presenti. In effetti l’improvvisazione era continua e collettiva e non si teneva a precise regole armoniche. E’ logico pensare che questi musicisti sentissero l’esigenza di auto regolamentarsi e di avere precisi ruoli all’interno delle band, per cui successivamente le cornette guidano i temi e gli assiemi, i clarinetti eseguono un petulante contrappunto alle linee melodiche, i tromboni assolvono la funzione di linee di basso, mentre i bassi “fondamentali” escono dalle enormi bocche dei sousaphone ed il ritmo viene scandito dalle grancasse, e tamburelli portati a tracolla.
Con l’avvento di strumenti principe quali il pianoforte ed le capacità improvvisative di solisti tipo King Oliver, Sidney Bechet, Louis Armstrong e molti altri, l’assolo (improvvisazione) conferisce a questa musica una dignità nuova, trasformando il jazz da musica folkloristica quale era stata per anni, in musica d’arte. In questo caleidoscopio di musicisti famosi e non cercherò di identificare nei prossimi incontri coloro i quali hanno saputo trasmetterci la gioia di poter fruire di questa musica.
Giovanni Sessa
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