Cosa c’è di più lacerante di un urlo di un cantante di colore?
La risposta sta nelle pene della collettività africana in America liberata dall’oppressione bianca, un unica voce di tutta la popolazione nera: Il blues
Nel 1902 Ma’ Rainey sentì cantare un blues da una donna in una piccola città del Missouri. Questo tipo di composizione, di chiara matrice popolare, si diffuse oralmente nelle principali città del sud degli Stati Uniti, interagendo con altre forme musicali bianche e nere d’inizio secolo, in particolare vaudeville, ragtime, jazz, country, musica sacra, canti di lavoro, holler… Ma da dove arriva questo blues? Un tipico intervallo timbrico chiamato “blue note” e un’originale scala africana di cinque toni, adattata ad una scala europea, fin qui è solo musica, ma cosa cambia?
“IL COLORE”
E’ proprio il colore che cambia, un’insolita cadenza triste che rappresenta tutta una vita di schiavitù che spicca formando una fantasmagorica cascata di nuance, proprio come in un quadro astratto dove infiniti puntini si susseguono formando un’improvvisazione cromatica che ha un fine preciso: raccontare e raccontarsi.
Immaginatevi un quadro di Monet dove venite attratti da innumerevoli segni di luce, tutt’intorno cotone e migliaia di figure, persone di colore curve su se stesse a perpetrare un lavoro faticoso, esteso per miglia e miglia dove il minimo comun denominatore è lo sfinimento.
Sembrerebbe che le più elaborate forme di ballate popolari, come i blues nati nel profondo sud, siano state precedute da determinate espressioni vocali, canti allo stato embrionale, dalla vocalizzazione istantanea di un emozione (cries, ovvero grida) a canti che rappresentavano la quotidianità. Innumerevoli blues iniziano con “I wake up in the morning and I am so Blue” la traduzione parla già da sé: mi sono svegliato stamattina e sono già…in…furiato. Queste espressioni canore (calls) chiamate differentemente a seconda delle zone, venivano cantate in generale nei luoghi di lavoro, fossero questi banchine del porto o campi di cotone. Erano molto utili: servivano per chiamare la gente fuori dai campi, o dare ordini sul lavoro da svolgere, attirare l’attenzione, per segnalare qualcosa. Tra i calls, i cornfield hollers si cantavano nei campi di granturco. Questi canti non avevano un tema o una struttura ben definita. Anche nel work song, come nei canti religiosi, il protagonista è il cantante guida, che racconta la storia ed il gruppo accompagna all’unisono, o all’ottava, o come accade più frequentemente, quest’ultimo gli risponde in coro seguendo schemi improvvisati.
Questi canti, non avevano una struttura rigida e definita e tutto era personalizzato dal leader,
che così facendo si comportava come un primordiale cantante jazz.
Anche in questo caso è la differenza che fa l’insieme.
Differenti personalità che cantano in maniera diversa si fondono intorno ad un unico leader che li guida verso un utilitarismo materiale ma anche spirituale, dove è il gruppo che sostiene, è il gruppo che protesta, è il gruppo che consola è il work singer sentirsi forte insieme agli altri che proietta lo spirito umano a emergere.
Le ballate più complesse derivano da ciò che i neri incontrarono nel nuovo mondo, e dunque si collegano anche ad antiche ballate scozzesi e irlandesi. Tutto ciò sta ad indicare che il sentimento non ha latitudini e la musica è il collante culturale di tutto il globo.
Ma in questo periodo presero piede due rivoluzioni religiose importanti il Battismo che perorava il pacifismo non violento (da cui deriveranno le lotte di Ghandi e Martin Luther King) e dal secondo grande risveglio della chiesa evangelica con il metodismo in cui si predicava che avendo Dio dato tutto all’uomo (vita, amore etc…), questi deve ricompensare il dono come impegno sociale verso gli altri.
La chiesa facendosi forte di questo principio fu vicina agli schiavi in tutte le ore della giornata modificando gli unici canti profani del negro americano in lodi al Signore trasformando dunque i blues in spiritual.
Quindi ci troviamo di fronte ad un canto che non è di rassegnazione ma una rivelazione divina che esalta il popolo nero d’America.
Significativi sono i versi di uno degli spiritual più famosi: SWING LOW, SWEET CHARIOT – IF SALVATION WAS A THING MONEY COULD BE / THEN THE RICH WOULD LIVE AD THE PO’ WOULD DIE / BUT I’M SO GLAD GOD FIXD IT SO / THAN THE RICH MUS’ DIE YES AS WELL AS THE PO’ (Se la salvezza fosse una cosa che il denaro potesse comprare / allora il ricco vivrebbe e il povero morirebbe / ma io sono contento che Dio abbia deciso così / che il ricco deve morire esattamente come il povero).
Alcuni accenni di questa melodia si ritrovano nella “Sinfonia del Nuovo Mondo” di Anton Dvorak il noto e geniale musicista boemo.
Nonostante l’elevazione culturale di questi canti, fu però il blues con le sue storie crude di vita vissuta a giocare un ruolo fondamentale nella nascita del jazz. Ma perché il blues ha il sopravvento sullo spiritual?
Perché il blues è ambiguo, ha ricchezza timbrica ma è pieno di instabilità tonale, perché fa affermazioni senza perifrasi utilizzando quindi un linguaggio rozzo, dietro ad ogni verso è nascosto qualcosa, Muddy Water 1941
allusioni, doppi sensi dovuti ad una situazione molto difficile in cui si trovava il negro schiavo prima, e il negro emancipato successivamente.
“Avere i blues” non è essere triste, questo è un lusso per l’uomo bianco, per i neri è una noia esistenziale, è il non morire, una consapevolezza di una tragedia che non finirà mai, peggio di un dramma dove si possono alternare ombre e luci. Il blues parla di ciò che non si ha e che non si avrà mai.
Questa profondità estrema emerge a tal punto che arrivi a pensare che tutta la tua vita è un blues e sono loro, i blues che guidano il tuo percorso scellerato. Ed è proprio questa sua semplicità esaltata da contrasti sonori, una musica che può essere dolce o amara, capace di rapirti e di trasportarti lontano.
Quando due braccia ti cingeranno trasmettendoti un senso di pace e di conforto, ma il tuo cuore si spezzerà, avrai trovato il blues. Giovanni Sessa
Dal mio punto di vista, il genere jazz “dal canto profondo dell’anima di un grido alla vita ” ebbe un evoluzione e trascorsi alcuni decenni influenzava in modo positivo le big band che si trovavano regolarmente ai primi posti delle classifiche e si caratterizzava in maniera crescente come una musica d'arte, tipicamente afroamericana. Nel frattempo, il pubblico statunitense del jazz si assottigliò, mentre la musica destava un crescente interesse in Europa e nel resto del mondo.
Successivamente ci fu’ il movimento bebop nel 1945, che raggiunse l'apice negli anni sessanta con il movimento free jazz, che mirava all'emancipazione totale del musicista.
Il New Jazz- specialmente lo “stile personale dei pianisti” crea un aspetto e si concretizza nella pratica dell’improvvisazione, uno…