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Musica e Pandemia



Anche la musica dal vivo, soprattutto la musica strumentale, ha subito una pericolosa battuta d’arresto durante questo periodo di Covid-19.

Non potendo più suonare sul palco, le orchestre sinfoniche e quelle da camera, nella loro consueta disposizione, si è dovuto cercare nuove strategie e collocazioni degli strumentisti per mantenere i protocolli di sicurezza.

Gli strumenti ad arco (violini, viole, violoncelli e contrabbassi) sono costretti a distanziarsi di circa un metro fra un leggio e l’altro. La compattezza del suono degli archi, dove l’intera formazione sostanzialmente riesce ad aggregarsi e a formare un suono unico, viene a mancare, costringendo i singoli elementi a compiere uno sforzo di ascolto dell’altro a cui non erano abituati. L’elemento del reciproco coordinarsi, che è tipico della musica da camera, viene ad inserirsi anche nel campo della musica sinfonica. Ne consegue un maggior affinamento degli aspetti introspettivi della musica eseguita. Se già negli ultimi anni lo stile interpretativo del repertorio sinfonico guardava alla trasparenza cameristica come ad una nuova frontiera espressiva, ora questo indirizzo diventa necessario da un punto di vista sociale e di sopravvivenza delle stesse orchestre.

I risultati conseguiti, nei primi concerti in periodo di pandemia, sono incredibilmente sorprendenti. E’ come accostarsi alla musica con un orecchio e uno spirito nuovi. Alcuni grandi interpreti, che ho potuto ascoltare nei mesi scorsi, hanno davvero saputo trarre da necessità virtù.

Daniele Gatti, a capo dell’Orchestra Nazionale della Rai, ha proposto alcune opere di Richard Strauss (Metamorphosen ), di Arnold Schoenberg (Verklaerte Nacht ) con un inedito approccio poetico e analitico. Il suono sembra comporsi delle singole unità degli strumentisti, in un dialogo solistico dove ognuno è materialmente parte del tutto. La musica rinasce in una nuova prospettiva di ascolto che comprende un diverso modo di produrre il suono.

Riccardo Chailly, con l’orchestra della Scala, esegue la Messa da Requiem di Verdi in Duomo e un concerto all’aperto nella piazza antistante.

Senza eccessivi correttivi acustici, data la sordità, la difficoltà di trasmissione del suono tipica della Cattedrale milanese, Chailly ha lavorato sulla capacità di creare, ancora una volta, un suono collettivo che proviene dalle singole individualità strumentali e corali. Non solo: ha saputo introdurre, con strategica sapienza, l’eco delle volte del Duomo come fisiologico elemento di prolungamento sonoro, senza generare fastidiose sovrapposizioni.

In questi casi, tramite un nuovo approccio esecutivo, i concetti abusati di Magia e di Rinascita si sono presentati all’ascolto nel loro vero significato, privi di ogni retorica.


Sergio Mora




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