Quasi un’autobiografia a colori
Se ponessimo attenzione alla nostra vita, forse questi giorni di forzata esistenza stanziale e di brusca quarantena, non sono stati episodi unici e irripetibili. Ricordo due quarantene che ho dovuto affrontare negli anni giovanili e che si avvicinano ad altre esperienze comuni dell’esistenza di noi tutti. Mi riferisco alle severe disposizioni dell’Ufficio di Igiene in merito alla cura delle “malattie esantematiche”, quelle malattie virali che si fanno una solta volta nella vita, definite solitamente “malattie infettive”: morbillo, varicella e scarlattina.
In ordine di apparizione, rammento di aver contratto la scarlattina a dieci anni. La prima manifestazione del morbo mi aveva colto in modo repentino durante una gita scolastica al Teatro dell’Arte.
Era ancora una Milano nebbiosa dimenticata dalle cronache odierne. Quella città che
possiamo vedere nei film neorealisti.
Si rappresentava uno spettacolo di marionette dei fratelli Colla: l’invasione degli orsi in Sicilia ispirato da racconto di Dino Buzzati.
L’aspetto“fantastico della rappresentazione si era associato alla prima aggressione di una febbre altissima.
Faccio presente che queste malattie infettive producono anche una strana alterazione della percezione visiva. La realtà assume, sulla retina dei nostri occhi, dei colori strani e sicuramente inusuali.
Allora si praticava un rigoroso isolamento di quaranta giorni. Dovendo rimanere a letto con manifestazioni insistenti di febbre, i miei genitori mi facevano trovare alcuni libri e fumetti da leggere. Al risveglio dal sonno ricordo di aver visto per la prima volta le tavole bluastre delle storie dei Puffi, che ho conosciuto tramite il “Corriere dei piccoli”.
Per quanto riguarda la letteratura, rammento d’aver letto, come autentico svago, le vicende di Robinson Crosue e di essermi immedesimato in quel panorama caraibico. Il calore e i colori dei mari del sud attenuavano le mie percezioni
febbricitanti. Potere davvero magico della letteratura! Rammento quei colori: il “blu” dei Puffi e il “blu” dell’oceano e del cielo dell’isola di Robinson. Come nella pittura, per me è stato davvero un periodo “blu”.
L a seconda memoria di quarantena che mi torna in mente è quella relativa al morbillo che ho contratto più avanti, quando già frequentavo la “seconda superiore”. Anche in questo caso mi era stata prescritta una terapia piuttosto severa, comprendente un mese circa di isolamento forzato. L’indebolimento organico, dovuto al perdurare dello stato febbrile, mi costringeva ancora una volta a letto. In quel periodo ho letto integralmente, dall’inizio alla fine, l’Ulisse di James Joyce. Ricordo di aver assaporato l’intero racconto con molto entusiasmo, riuscendo a modulare i difficili passaggi di scrittura che il romanzo comporta. Non avevo l’impressione di addentrarmi in uno stile sperimentale o innovativo. Mi pareva, tutto sommato, che non vi fosse molta differenza fra la narrazione di Joyce e quella degli altri romanzieri di stampo ottocentesco. Quello che cambiava era il modo di raccontare gli eventi. Quando, una trentina di anni dopo, ho voluto riprendere la lettura di quel libro, non ci sono riuscito. Ho percepito l’impatto eversivo dello stile che fuoriusciva dalla normalità dello scrivere. Forse solo la particolare disposizione di quei giorni mi ha aperto con spontaneità l’accesso al racconto di Joyce. In quel periodo ho letto anche i romanzi di Kafka e la versione letterario de l’Esorcista di William Peter Blatty. Il romanzo era stato scritto prima della realizzazione del film ed è superiore alla pellicola celeberrima. Almeno, questa è stata la mia impressione.
quanto riguarda i colori, quello è stato per me un periodo “rosso”. Il morbillo, nella sua fase più acuta, mi faceva vedere il mondo attorno a me come attraverso un filtro scarlatto, a volte davvero sgradevole. Forse è stato proprio quell’impatto cromatico, così aggressivo, che mi ha particolarmente predisposto alla lettura di Joyce, Kafka e Blatty.
Ogni forma virale ha i suoi colori, i suoi incubi e le sue rilassanti fantasie. L’importante è sapere cogliere queste inquiete variazioni cromatiche e disporle con fiducia sulla tavolozza della nostra esistenza. Sono i colori dell’arcobaleno che ci riserva la vita. Un nuovo orizzonte si profila dietra questa visione. Una realtà da vivere che non conosciamo.
Sergio Mora
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