L’estetica della conoscenza: verità e menzogna nella cultura musicale.
Roberto Monaco: Meyerbeer, Musica Practica editore, Torino 2022, pp. 238, euro19,00
L’immagine di Giacomo Meyerbeer(1791-1864), pur essendo spesso oggetto di disquisizioni all’interno della musica romantica, non ha mai prodotto uno studio definitivo della sua arte, spesso vista sullo sfondo dell’attività di altri celebri compositori. Di Meyerbeer si citano le opere all’interno dell’evoluzione del teatro ottocentesco facendone un contraltare minoritario di Wagner e di Verdi.
Soprattutto Wagner ha contribuito a rendere il nome del compositore franco-tedesco l’emblema della contrattazione economica come fine ultimo degli interessi musicali.
Un puro esempio di dominio capitalistico sull’arte. Si tratta di una visione riduttiva, apodittica, non corrispondente alla reale immagine del musicista.
L’ultimo libro del compianto Paolo Isotta “Verdi a Parigi” offre una prima interessante analisi dell’attività di Meyerbeer. Seppur non sgombra di pregiudizi critici, l’impostazione del musicologo napoletano vuole mostrare la distanza estetica complessiva fra lo stile del musicista franco-tedesco e il nostro Verdi. Eppure qualcosa permane nella musica del Trovatore riguardo gli Ugonotti e qualcosa ancora evapora nelle pagine di Aida, memore della precedente Africana.
Non sono casualità perché Verdi frequentava con attenzione il mondo operistico francese e ne traeva spunto per la sua evoluzione.
Nell’epistolario verdiano il nome di Meyerbeer appare solo due volte con risvolti di polemica nei riguardi dell’eccessivo abuso giornalistico da parte della stampa parigina.
Come Wagner si direbbe che Verdi vedesse in Meyerbeer un monopolizzatore dei teatri d’opera con particolari vincoli di botteghino.
Anche Massimo Mila, nella sua celebre “Breve storia della musica”, vede in Meyerbeer un fenomeno transitorio di pura spettacolarizzazione del melodramma, un ritorno ai fasti dell’epoca barocca arricchito di tutto un nuovo armamentario di “effetti senza causa”.
Eugenio Montale, in veste di critico musicale, aveva individuato nel compositore di origini ebraiche una sua spiccata originalità nello sviluppare situazioni drammatiche complesse e musicalmente suggestive.
Non dobbiamo dimenticarci della giusta visuale storica data al musicista da Alfred Einstein, fratello di Albert, in cui si sottolinea la rappresentanza di una cultura “restauratrice”, nata dopo la caduta di Napoleone, dove predomina il lato “anti-nazionalista”, ammorbidito da un contesto narrativo avventuroso. La presenza di stilemi linguistici italiani, francesi e tedeschi determina la nascita di un nuovo idioma estetico capace di riassumere l’Europa multi-etnica.
Ulteriore motivo di interesse delle opere di Meyerbeer è la visione “complottistica” delle fazioni politiche in un mondo guidato dal Congresso di Vienna.
Da alcuni decenni la musica del compositore franco-tedesco è tornata all’attenzione del pubblico, grazie all’iniziativa di alcuni festival.
Si tratta ora di considerare con minor superficialità la sua presenza nella cultura ottocentesca.
Lo studio di Roberto Monaco ricostruisce puntualmente la biografia e l’opera di Meyerbeer, mostrando caratteristiche spesso ignorate del musicista. Ad esempio la sua maestria come pianista, apprezzato interprete di Mozart ed erede nella pratica tastieristica del suo allievo Hummel.
Nel contesto salottiero dell’epoca, pur non essendo un virtuoso integrale, Meyerbeer è stato anche un precorritore di Chopin.
La collaborazione con Eugene Scribe come librettista gli ha permesso di creare un nuovo genere operistico a cui era già predestinato: il “grand-opèra”.
In questi giorni in cui ricorre l’anniversario del Teatro Dal Verme a Milano, dobbiamo rammentare che nel lontano 1872 venne inaugurato con gli “Ugonotti” di Meyerbeer.
La stesso titolo aveva inaugurato il Teatro Coccia di Novara nel 1888. Tutto questo testimonia della vitalità che l’opera del compositore franco-tedesco godeva sino ad allora.
Il motivo del declino di interesse nel corso del Novecento è dovuto alla scomparsa di un certo tipo di vocalità belcantistica che tornerà in auge attraverso la “Rossini-renaissance”.
Il recupero dell’opera di Meyerbeer richiede inoltre un adeguato apparato registico e l’impiego di ruoli vocalistici di contorno, oggi non facili da trovare.
Sottolineo l’importanza del lavoro svolto con competenza e passione da Roberto Monaco, colmando una lacuna storiografica che sino ad ora non ha voluto produrre studi su Meyerbeer neppure come traduzioni di contributi in lingue straniere, soprattutto dal francese.
Un libro dunque indispensabile per ogni appassionato di melodramma e di cultura ottocentesca.
Giovanni Baldini - Lorenzo Baldini Arthur Schnabel interprete delle 32 sonate di Beethoven, Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 298, euro 25,00
L’interpretazione è il problema capitale della musica, perché un testo musicale, anche se estremamente preciso e dettagliato nella scrittura, è sempre aperto a diverse ipotesi realizzative.
Artur Schnabel (1882-1951) è considerato il massimo esecutore ed esegeta di Beethoven al pianoforte.
Il corpus pianistico delle 32 sonate di Beethoven ha iniziato il suo iter concertistico in modo organico nel corso del secolo scorso, dopo la fase pionieristica e frammentaria delle esecuzioni di Franz Liszt e Hans von Bulow.
Formatosi con un allievo di Czerny, a sua volta discepolo e amico di Beethoven, Schnabl è per via diretta un continuatore dello stile e della tecnica del grande maestro di Bonn. A questo si aggiunga la sua assimilazione culturale della Vienna fine-ottocento, attraverso la frequentazione di Brahms e di Schoenberg.
Lo studio assiduo dei testi beethoveniano e la minuziosa analisi lo ha portato, per primo, ad immortalare su disco l’intero patrimonio sonatistico in un periodo in cui quei testi non erano ancora entrati totalmente nel repertorio dei concerti.
L’incisione integrale delle sonate di Beethoven, sotto l’egida di Schnabel, ha un valore di studio di fondamentale importanza, perché il pianista austriaco ha voluto tramandare un versione corretta tecnicamente delle difficoltà che quelle opere presentano.
Due musicologi triestini, Lorenzo e Giovanni Baldini, hanno fatto delle registrazioni di Schnabel un elemento imprescindibile di approfondimento didattico delle opere di Beethoven.
Accanto alle revisioni critiche degli spartiti, i dischi di Schnabel costituiscono un ulteriore elemento pratico di informazione.
Il volume suggerisce una sequenza di soluzioni tecnico-interpretative delle sonate, attingendo dall’esperienza esecutiva di Schnabel. Gli autori si rifanno anche all’insegnamento di Carlo Zecchi, pianista e didatta italiano che ha potuto beneficiare dell’insegnamento dell’illustre pianista.
La discografia diventa supporto dell’arte esecutiva come testimonianza di risoluzioni estetiche e manuali.
La riflessione estetica viene sostituita dall’evidenza dei risultati.
Questo libro propone una modalità attiva, di profondo riflesso cognitivo, su come rapportarsi ai testi classici in funzione della loro continuità esecutiva.
Sergio Mora
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