Claire Gibault: Direttrice d’orchestra, Add editore, Torino 2022, pp. 176, euro 18
La declinazione al femminile della direzione d’orchestra non si è ancora storicizzata. Per sua natura eminentemente pratica, la direzione d’orchestra, come il ruolo amministrativo all’interno di una azienda, ha bisogno di sedimentarsi nel contesto sociale per assumere una funzione connotativa definitiva. L’immagine del direttore d’orchestra fiduciario, se non sostitutivo, dello stesso compositore è divenuta con il tempo una funzione “statuaria” per la comunicazione musicale.
Oltre due secoli di direzione d’orchestra, ovviamente maschile, hanno creato il mito del “grande interprete” e nell’epoca dei “media” è sorto lo “star system”: il compito di fiduciario del compositore è stato sostituito da quello di imbonitore di prodotti discografici o videografici.
Già dalla fine del secolo scorso, siamo davanti ad un cambiamento storico-economico nei riguardi della musica.
Il declino dei poteri discografici ha fatto sì che la comunicazione musicale sia tornata agli eventi “dal vivo”, rivalutando la partecipazione del pubblico e l’onestà dell’interprete, non più “guru” ma grande “artigiano”.
Questo ridimensionamento del mondo musicale può risultare favorevole ad una più equa visione del ruolo della donna all’interno della musica colta.
Raccontandoci la propria vita, Claire Gibault mostra l’iter professionale di un musicista negli ingranaggi impietosi della musica.
Claire Gibault è riuscita ad emergere come donna e come artista grazie l’autenticità della sua comunicazione: la dolcezza. Non si tratta di una scelta a tavolino ma della maturazione del proprio rapporto con il pubblico e la musica stessa. La vita, con le sue durezze e delusioni, ha mostrato alla direttrice francese l’autentico connotato del suo rapporto con i suoni. Si tratta di una conquista raggiunta alla ricerca di “se stessa”, attraverso momenti in cui Claire si è dedicata ad altre attività, come quella di parlamentare europea per la cultura. Questa ricerca interiore è maturata anche nel campo religioso nel momento in cui dal cattolicesimo la musicista è passata alla fede ortodossa.
L’inquietudine interiore di una generazione formatasi durante il Sessantotto si manifesta in una visione dell’arte non disgiunta dal sociale e dal continuo interrogarsi del proprio Io.
In questo momento di riscatto di “genere” nei ruoli femminili e maschili, è interessante verificare alcune differenze di approccio, motivate da distanze anagrafiche, all’interno della stessa direzione d’orchestra: per esempio leggendo la biografia di Beatrice Venezi.
Quello che possiamo verificare è una maggiore adattabilità dell’artista nella comunicazione, senza sentirsi prevaricato dal suo essere “immagine”.
L’apparente esteriorità diventa elemento imprescindibile di formazione nei riguardi di un nuovo pubblico.
L’esperienza evolutiva delle donne all’interno della musica tornerà utile anche agli uomini in una visione nuova del rapporto fra arte e interpretazione.
L’autobiografia di Claire Gibault è un prezioso manuale di estetica e sociologia che non contiene facili “incensamenti” ma l’eterno relativismo che l’arte esercita sull’umanità.
Vale la pena di leggere questa sincera autobiografia per conoscere di più su quest’ultimo scorcio di secolo.
Ernesto Napolitano : Forme dell’addio, Edt editore, Torino 2022, euro 27,00
In questi ultimi tempi l’interesse verso Mahler si è manifestato in Italia con la pubblicazione di nuovi studi critici, spesso innovativi per il risvolto dato all’argomento. Pensiamo alla biografia recentemente scritta da Zignani capace di mostrare la posizione del musicista inserito nella storia del suo tempo.
Il saggio di Napolitano si concentra su una tematica che determina lo stile ed il contenuto delle ultime sinfonie di Mahler: il tema del congedo.
Il libro ripercorre la scrittura mahleriana dalle origini, accanto alla sua struttura tematica mutuata dal Lied romantico.
La musica del compositore boemo perde i connotati tipici della forma romantica basata sul concetto di “sonata” per intraprendere una direzione narrativa di tipo “letterario”.
Non per niente il musicista esortava i giovani a trarre spunto per le loro composizioni da Dostoevskj piuttosto da concetti astratti.
Il percorso poetico mahleriano diventa sempre più un percorso di formazione, come nella coeva letteratura di Kafka, Musil e Thomas Mann. Diversamente da altri compositori, Mahler non rimane mai radicato ad uno stile specifico ma, sinfonia dopo sinfonia, sconfina in nuove proposte formali, spesso divergenti.
Per questo motivo Mahler era diventato un modello per le nuove generazioni di musicisti, soprattutto per la Seconda Scuola di Vienna.
Il libro di Napolitano mostra come l’Ottava Sinfonia costituisca un confine neutro dove il musicista costruisce una struttura di sintesi espressiva lontana da ogni esempio tipico del genere sinfonico. L’elemento grandioso della sinfonia allude agli sviluppi tecnici e scientifici del passaggio ad un nuovo secolo: il Novecento.
Le sinfonie successive si aprono ad una riflessione interiore d’ampio respiro, in parte autobiografica e in parte rivolta ai destini più ampi dell’umanità. L’incipiente conflitto mondiale viene anticipato dalla crisi individuale e sociale che Mahler sapeva mostrare attraverso una musica carica di inquieti preannunci.
Ancora una volta la struttura d’ispirazione letteraria delle sinfonie si manifesta con un linguaggio che allude ad una scrittura costruita sulla successione delle note come sulla successione delle parole, in modo discorsivo. In questo modo l’autore parla in modo diretto al suo ascoltatore, senza intermediazioni stilistiche.
Due sinfonie basate sul canto e sulla vocalità, l’Ottava e Das lied von der erde mostrano nell’alternativa poetica la continuità segreta, vietata all’espressione strumentale, a dar vita ad un profondo colloquio fra l’Io e il Mondo.
Lo stile intenso, spesso diafano e sfuggente, privo di connotazioni veristiche, determina il contenuto della Nona Sinfonia. L’addio alla vita, al secolo precedente in cui si era formato, alla civiltà intera che sembrava eclissarsi, questo addio assume il ruolo di spirito guida delle sue ultime opere.
Mahler non indulge in nessuna vacua nostalgia ed è ben lontano dal culto del patetismo fine a se stesso.
Il compositore boemo, fra l’altro, non amava in nessun modo la celebre Sinfonia detta “patetica” di Ciaikovskij che aveva avuto modo di conoscere e forse di eseguire.
La sua Nona Sinfonia si chiude con un messaggio di pacata speranza che deriva dalla presa conoscenza di ogni limitazione umana fra cui la stessa vita.
Lo stile di Mahler, non abituato ai concetti di atonalità, adopera alcuni sintagmi dell’amico Schoenberg nella sua opera incompiuta: la Decima Sinfonia.
L’aver utilizzato alcune espressioni musicali dell’Erwartung e di Verklaerte Nacht di Schonberg, sino al celebre accordo finale di nove note, indica come Mahler avesse fatto della logica espressionista un suo ulteriore strumento di comunicazione.
E’ un libro molto utile da leggere perché inserisce il compositore boemo in un processo di evoluzione linguistica in atto all’inizio del secolo. Da sottolineare soprattutto il “filo rosso” di natura letteraria che crea nella musica di Mahler un vero e proprio linguaggio conformato alla lingua parlata.
Sergio Mora
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