L’apprendimento adulto, centrato sul concetto di lifelong learning, presuppone sempre un processo di cambiamento dovuto dall’esperienza, che è la base più ampia a cui rapportare i nuovi apprendimenti.
L’adulto, responsabile delle proprie decisioni, è disponibile ad apprendere se ciò gli consente di far fronte in modo efficace alle sfide della vita reale; perciò ha necessità di prendere coscienza di ciò che si trova ad imparare.
L’apprendimento consente alla persona un miglior adattamento personale, professionale e sociale.
Kolb sostiene che «l’apprendimento è il processo per cui la conoscenza è creata attraverso la trasformazione dell’esperienza»[1].
Il processo trasformativo porta ad un senso modificato e rafforzato del Sé e a una riflessione più critica del modo in cui le relazioni sociali e il sistema culturale hanno condizionato le proprie convinzioni e i propri sentimenti; genera azioni di cambiamento nelle relazioni e quindi nelle organizzazioni e nel contesto di cui si è parte; si attiva così un’azione che incide nei sistemi politici, economici e culturali e conduce a un’operazione sociale collettiva.
Riteniamo che il punto di partenza capace di dare slancio a questo processo sia la centralità della persona, unica, irripetibile e libera, che deve agire con intenzionalità e logos e si trova a dover affrontare un processo trasformativo evolutivo.
Bertagna pone come punto di partenza e come fattore centrale la dimensione pedagogica, focalizzando l’attenzione sul «costituirsi di ciascuno come un unico, ritenendo ogni persona come fine irriducibile, come singolo all’ennesima potenza, perché libera»[2]. Emerge un quadro teorico di riferimento centrato sui concetti di unicità della persona, intenzionalità e bene comune. Attraverso un’adeguata formazione continua per tutto l’arco di vita professionale, la persona può incrementare e sviluppare i propri talenti e le proprie abilità, ampliando le competenze necessarie e gli atteggiamenti proattivi spendibili in modo consapevole e intenzionale orientando un agire sociale verso il bene comune da intendersi come fine collettivo[3].
Sandrone e Bertagna sostengono che «il paradigma personalista, esalta l’adesione personale e il compimento di ciascuna persona che, in quanto libera e responsabile, è motore primo di questo processo e diventa strumento indispensabile ed insostituibile per favorire lo sviluppo dell’essere competente di ciascuno, che sarà tale in quanto, avendo fatto propria l’acquisizione di sapere, potrà, in una dimensione di gratuità, agire bene, sia per sé, sia nella dimensione relazionale con gli altri. Dalle buone capacità potenziali di ciascuno si passa allo sviluppo di competenza: questo è il processo, di aristotelica memoria, che si affida all’azione educativa e ai protagonisti della relazione (educativa) che la caratterizzano, nelle diverse situazioni che nell’unità della propria persona si confrontano con la complessità dei problemi sempre situate nella vita personale e professionale»[4].
Nel corso della propria esistenza una persona compie diversi cambiamenti che la portano a rinnovarsi, rimodellarsi, ri-strutturarsi, rivedendo le proprie conoscenze, ridefinendo i propri quadri di riferimento e accrescendo quelle abilità che la portano ad essere capace di gestire in maniera adeguata il cambiamento causato dalla situazione di incertezza nella quale si trova a vivere, generata talvolta da un dilemma disorientante[5].
Le ricerche condotte da Mezirow, rispetto al processo trasformativo, che analizzeremo in seguito, hanno evidenziato che la trasformazione è un processo che si articola in dieci fasi: inizia sempre con un dilemma disorientante e termina con un concetto modificato del Sé che permette una reintegrazione nella propria vita, secondo le condizioni disposte dalla nuova prospettiva.
Il processo trasformativo è un processo di ricognizione di sé e l'approccio autobiografico porta con sé alcune istanze caratterizzanti verso questa direzione: innanzitutto partendo dal concetto di assoluta centralità della persona, che assume l'intenzionalità narrativa come momento fondante della conoscenza.
La narrazione di sé incoraggia a riconoscersi, aiuta a ricomporre i frammenti della propria vicenda esistenziale e stimola la capacità di proiettarsi nel futuro. Si tratta di una strategia di pensiero particolarmente efficace, in quanto non classifica in forma fissa i fenomeni, ma li interpreta in forma significante nel divenire del tempo. Possiede una forza narrativa e trasformativa, che stimola l'auto-osservazione e la presa di coscienza di sé. La narrazione è un dispositivo non esplicativo, ma interpretativo.
La scrittura e il racconto di sé ne agevolano il processo.
La scrittura è senza dubbio una delle maggiori conquiste da parte dell’umanità: fin dall’antichità infatti è stata accostata al potere derivante dalla conoscenza. Oggi possiamo considerare la scrittura come uno strumento per esprimere le proprie esperienze, le proprie progettualità e per l’affermazione di sé nel mondo e come mezzo di empowerment per intervenire sull’ambiente esterno con modalità costruttive e proattive.
Duccio Demetrio afferma che «il racconto di sé diviene il mezzo privilegiato per avvicinarsi ai propri vissuti, ma anche per distaccarsene, vedendoli e interpretandoli come dall'esterno (bilocazione cognitiva). Si giunge quindi alla proposta di un percorso educativo come auto-formazione narrativa che conduce alla costruzione del senso della propria educazione attraverso la strutturazione di un racconto sempre nuovo, ma pronto a coglierne svolte, passaggi nella continuità della propria trama vitale. L'approccio autobiografico valorizza ogni storia di vita di cui il miglior interprete è sempre il protagonista stesso. In virtù di ciò, l'approccio autobiografico potenzia l'autostima e l'identità personale, intesa come capacità di individuarsi, facendo interagire tra loro i diversi aspetti della personalità, spesso arbitrariamente ed astrattamente separati»[6].
La ricognizione di sé genera un’azione trasformativa che consente alla persona di ri-progettare se stessa, di rimodellarsi, di rinnovarsi, rielaborando le proprie conoscenze, ridefinendo i propri quadri di riferimento e sviluppando le abilità che la portano ad essere capace di orientare la propria azione costantemente, soprattutto durante le fasi di transizione e di cambiamento.
La teoria di Mezirow, ispirata da fondamenti umanistici e sviluppata secondo modalità costruttivistiche, implica come punto di partenza un adulto autoriflessivo, libero e critico, sempre capace di cogliere opportunità di apprendimento. Essa ci dice che la teoria dell'apprendimento trasformativo spiega come gli adulti che si trovano all'interno di momenti avversi della loro esistenza, arrivino a superare le loro paure e ansie, accettando e comprendendo una nuova prospettiva e trasformandosi in persone più consapevoli e adeguate al senso d’incertezza che caratterizza la loro esistenza.
L’apprendimento è, dunque, un processo consapevole, critico e riflessivo attraverso il quale l’adulto costruisce interpretazioni nuove o aggiornate dei significati attribuiti a esperienze o pensieri del passato, al fine di guidare il presente e orientare l’azione futura[7].
Il postulato centrale della teoria trasformativa si basa su una teoria di stampo costruttivista dell’apprendimento; nel corso della propria storia personale, formativa e delle vicende storico-culturali, l’adulto costruisce percezioni, aspettative, comportamenti, valori, desideri, relazioni, ma anche “strutture di confine” del sistema di significato individuale, in base al quale le esperienze vengono assimilate. L’adulto reinterpreta un’esperienza remota in base a un inedito set di significati.
L’apprendimento trasformativo avviene solo attraverso la trasformazione delle prospettive di significato, la forma di apprendimento che «consiste nel prendere consapevolezza, attraverso la riflessione e la critica, dei presupposti specifici su cui si basa una prospettiva di significato distorta o incompleta e nel trasformarla attraverso una riorganizzazione di significato»[8]. Lo scopo della riflessione è il riesame critico del modo in cui l’adulto ha consapevolmente e coerentemente agito e pensato, entrando anche in relazione con gli altri. Il concetto di riflessione è presente in molte teorie dell’apprendimento e in particolare in modelli di apprendimento adulto. La capacità di riflessione viene considerata sia come simbolo di un’adultità matura sia come obiettivo dell’educazione degli adulti contemporanea.
All’inizio degli anni Novanta, Mezirow raccoglie molti spunti concettuali e metodologici dichiarando la continuità del suo pensiero con alcune teorizzazioni, particolarmente con quelle di Dewey e Freire.
All’inizio del Novecento, John Dewey approfondisce il concetto di riflessione mettendolo in luce sia in riferimento ai processi di pensiero sia in relazione alle implicazioni educative che esso comporta. Il filosofo americano definisce il pensiero riflessivo non come una semplice messa in sequenza di idee, bensì come un ordine consecutivo di idee collegate fra loro attraverso un significato.
Il doppio movimento -induttivo e deduttivo- della riflessione si sostanzia come un processo di ricerca che muove dai dati parziali e confusi per giungere ad una più inclusiva comprensione, oppure da una idea globale per pervenire ai fatti particolari.
Dewey non interpreta la riflessione in termini di ritorno interiore o di consapevolezza rispetto a eventi esterni, ma la intende come vigilanza circa il processo di rettificazione delle idee; la riflessione parte da una percezione di incertezza, dal disagio del dubbio e, mediante una presa in esame delle esperienze o delle convinzioni, avvia un’operazione di ricerca che, una volta sorpassata la routine dell’abitudine, passa attraverso un’analisi chiara e distinta della situazione, giungendo sino alla formulazione di un’ipotesi, in vista di una decisione d’azione.
Nella sequenza del processo riflessivo, che per Dewey costituisce la migliore forma di pensiero, alla fase del dubbio seguono quella della formulazione di una supposizione, quella dell’analisi della situazione, quella dell’elaborazione di un’ipotesi, per giungere infine alla messa in pratica[9].
Nella seconda metà del Novecento anche un altro autore assegna una grande importanza al concetto di riflessione, attraverso una stretta relazione alle pratiche formative. Nell’opera Pedagogia degli Oppressi, Paulo Freire propone una concezione della riflessione basata
sugli aspetti ideologici. Freire utilizza la riflessione come strumento di emancipazione sociale e come metodo pedagogico per liberare gli adulti da strutture oppressive di potere. Egli ritiene che la riflessione non sia propriamente afferente agli atti conoscitivi bensì alle condizioni di esistenza degli adulti; il fine è quello di affrancare forze e conoscenze degli individui da una concezione non riflessiva. La riflessione è lo strumento attivatore di un processo di coscientizzazione e liberazione che intende ricreare condizioni di giustizia, equità e partecipazione a più livelli.
All’interno della concezione di Freire, l’educazione problematizzante, critica e dialogica inizia con la consapevolezza del cambiamento e, sotto forma di presa di coscienza critica della realtà, diviene forza propulsiva di miglioramento individuale e collettivo contro la rassegnazione e lo status quo. La riflessione è così investita di una funzione socio-politica che copre l’intera dimensione temporale: il passato come ripensamento critico, il presente come spazio di consapevolezza, il futuro come progetto di coscienza emancipativa[10].
Alberto Di Monaco
[1] R. D. Di Nubila - M. Fedeli, L'esperienza: quando diventa fattore di sviluppo e di formazione, Pensa Multimedia, Lecce 2010, pp. 56-60. [2] G. Bertagna, Fare Laboratorio. Scenari culturali ed esperienze di ricerca nelle scuole del secondo ciclo, Editrice La Scuola, Brescia 2012, pp.25-27. [3] Ibidem. [4] G. Sandrone, La competenza: concetto ponte fra formazione e lavoro, in «Nuova Secondaria» in Editrice La Scuola, Brescia, Giugno 2017, Anno XXXIV, pp. 45-49. [5] J. Mezirow, Apprendimento e trasformazione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003, pp. 11-15. [6] D. Demetrio, Raccontarsi. L’Autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, pp.16-20. [7] Ibi, p.19. [8] Ibi, p. 96. [9] Il pensiero originale di J. Dewey, contenuto nel volume del 1954, Il mio credo pedagogico. In L’educazione di oggi, La Nuova Italia, Firenze, è oggi riproposto da L. Perla - M. G. Riva, L’agire educativo, Editrice La Scuola, Brescia 2016, p. 336. [10] P. Freire, Pedagogia degli Oppressi, Edizioni Gruppo Abele, Milano 2002, p.69.
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