Francesca Albertini Petroni : Le donne di Pietro Mascagni, Edizioni Curcio, Milano 2022, pp.148, euro 17,00
E’ inevitabile che la nostra cultura, zeppa di falle e di assurde dimenticanze, crei dei vuoti incomprensibili nel tramandare l’immagine di alcuni nomi un tempo famosi.
Pensiamo alla scuola verista, proprio nell’anno centenario della morte di Giovanni Verga (1840-1922), e ai suoi addentellati musicali che comprendono soprattutto Ruggero Leoncavallo (1857-1919) e Pietro Mascagni (1863-1945).
I nomi e le vicende di questi due musicisti sono stati privati di ogni considerazione critica a favore del più illustre coetaneo Giacomo Puccini (1858.1924) di cui a breve festeggeremo un nuovo e importante anniversario.
L’arte di Pietro Mascagni non si è risolta nel solo verismo ma ha affrontato molteplici influenze stilistiche: l’impressionismo, il Liberty, la canzonetta alla moda, le danze americane e anche il Jazz.
Mascagni non si è fatto mancare nulla pur di appartenere al suo tempo. L’attività frenetica lo ha coinvolto anche nel cinema, nella musica sinfonica e in quella da camera. La sua innata voracità creativa lo ha reso partecipe di avventure artistiche spesso di pura immagine consumistica.
Questi però non sono motivi validi per non analizzare minutamente l’arte di questo musicista perfettamente collocato all’interno dell’evoluzione del Novecento sia nelle sue caducità che nelle sperimentazioni più intriganti. Voglio con questo alludere alla sua personale rivisitazione dell’impressionismo debussiano nella “Isabeau”, oppure il misconosciuto “Piccolo Marat”, esempio musicale “noir” fra i più degni di considerazione, per tacere della sua virata neoclassica con “Le maschere”.
Il libro da noi proposto vuole mostrare un ritratto domestico del compositore livornese, per meglio conoscerne gli aspetti intimi e privati.
Si tratta, come indica il titolo, di una immagine di Mascagni declinata attraverso le presenze femminili della sua vita. L’autrice Francesca Albertini Petroni è la pronipote del musicista e ne custodisce le memorie attraverso una documentazione privata di grande interesse.
Scopo del libro è permetterci di entrare nella vita del compositore attraverso i sentimenti e la quotidianità.
Risalta il tratto immediato della sua arte, dietro la quale si nasconde una preparazione calcolata attraverso fervide letture, nutrite di ogni sorta di modernità a lui contemporanea.
L’armonia di Mascagni declina vari aspetti del crinale fra ottocento e novecento: l’influsso di Wagner e dei compositori francesi, il progressivo allentarsi della tonalità e l’utilizzo di formule folkloriche.
Come Puccini, Richard Strauss, Mascagni vive le contraddizioni e le trappole del nuovo secolo cercando sempre strade nuove.
Il racconto, scandito dai nomi delle donne della sua vita, ricostruisce non tanto il lato edonistico e avventuroso della sua esistenza quanto piuttosto l’aspetto più ovvio, di tutti i giorni, il retroterra di legami affettivi su cui si plasmeranno le sue melodie.
Come Puccini, Mascagni ha interpretato il passaggio al nuovo secolo mantenendosi fedele al gusto italiano della bella melodia, avvertendo però l’inevitabile declinare degli ideali di cui la poesia di Carducci, Pascoli e D’Annunzio erano stati gli alfieri.
L’assunzione di stilemi estetici più modernistici lo ha portato a sviluppare, nelle ultime opere, l’uso del declamato, come Pizzetti, a detrimento del coinvolgimento armonico e melodico del discorso musicale.
Questa indebita virata novecentesca ha contribuito al progressivo allontanamento del pubblico dalla sua opera. L’isolamento conclusivo della sua vita ha posto in rilievo l’immagine eroica e solitaria della sua giovinezza riassunta nella sua sola opera rimasta in repertorio “Cavalleria rusticana”.
Attraverso le immagini femminili della vita del musicista e l’eredità, ancora una volta, femminile della sua discendenza, il libro vuole essere non un ritorno di Mascagni ma un ritorno a Mascagni: l’avvicinamento critico e umano ad un vero e proprio protagonista ed emblema della nostra cultura.
La conclusione magica, quasi romanzesca del libro, ci riporta nei saloni dell’Hotel Plaza di Roma dove il compositore è morto nel 1945.
La presenza delle nipoti in quel luogo carico di memorie e di storie, sembra sancire un nuovo patto
con la cultura e la musica per riportare Mascagni al centro di una più diffusa visione globale della sua opera.
Biagio Biagini: Swinging Stravinsky, Oligo editore, Mantova, maggio 2022, pp.192, euro 16,90
L’avvicinamento di stili fra loro incompatibili, l’equiparazione dello sperimentalismo con l’arte dell’intrattenimento, il cinema e la “dance music”, la filosofia eversiva del futurismo, tutto questo ha rimescolato la grammatica espressiva in favore di una gamma più ampia di formule comunicative.
L’utilizzo di una narrazione tipicamente romanzesca ,permette all’autore di cogliere la simultaneità degli eventi della storia che avvicinano i due musicisti.
La differenza degli ambiti culturali a cui appartengono Benny Goodman e Igor Strawinsky viene azzerata dalle circostanze di emigrazione e dal comune eclettismo.
L’immagine avventurosa dei primi anni del Novecento, divisa fra la sete di evasione e divertimento, l’interesse per nuovi utilizzi delle tecniche compositive, mostra la capacità di inventare il moderno all’interno della stessa evoluzione tecnologica in atto.
Il linguaggio aspro e forte di Cèline del “Viaggio al termine della notte” è stemperato dai dialoghi frizzanti della commedia cinematografica hollywoodiana.
La finzione narrativa permette di ricostruire l’aggancio degli eventi in un epoca di emigrazione politica ed economica e anche l’affacciarsi di nuove procedure di riproduzione discografica e cinematografica.
Questi aspetti dell’evoluzione tecnica hanno interessato sia Goodman che Strawinsky, entrambi figli di uno stesso contesto generazionale.
Il parametro del ritmo è il punto focale dell’arte di Igor Strawinsky. La tecnica strumentale innovativa del Jazz trova nello “swing” una nuova dimensione di ampliamento linguistico a cui il compositore russo attinge a piene mani.
Attraverso le metafore faustiane dell’Histoire du soldat e di The rake progress, lo stimolo innovatore del Jazz viene incanalato con ironia in una nuova lingua demistificatrice delle vecchie retoriche.
Il racconto del Biagini è sapientemente modulato fra storia e vicende personali dei protagonisti mediante il condimento sapido di un umorismo in perfetta linea con l’epoca rappresentata.
I mondi apparentemente separati della musica colta e del Jazz convergono nella comune volontà di ampliare il proprio afflato comunicativo per diventare l’idioma del secolo.
Tiziana Gazzini, Visionari, Fefè editore, ottobre 2022 pp.324
Non esiste un tema di maggior interesse della visionarietà. Si tratta di un argomento dai confini imprevedibili che ci trasporta all’interno di mondi artistici spesso lasciati ai margini degli interessi comuni.
Il libro di Tiziana Gazzini è un “reportage” di tesori sepolti che si trovano all’interno di musei poco frequentati, oppure nelle biografie di una selezionata stirpe di audaci scopritori di mondi ignoti: scultori, fotografi, pittori, scrittori, registi.
L’arte si muove spesso ai limiti del reale per mostrare quanto siano stretti i confini della comune esperienza.
Il sogno, l’incubo abitano confini sconosciuti che solamente alcuni abili rabdomanti sanno portare alla luce mostrandone la concretezza con il reale che abitiamo ogni giorno.
Lo scopo del libro è mostrare itinerari nascosti della conoscenza umana che vivono nell’opera di alcuni artisti capaci di superare il confine rassicurante del prevedibile.
E’ una geografia apparentemente indefinibile che si concentra sulla città di Roma il cui epicentro è nella famosa Villa Medici, sede dell’Accademia delle Belle Arti di Parigi. Un luogo che ha permesso di muovere i primi passi a numerosi artisti oggi famosi.
Materia comune dei personaggi descritti in questa policroma antologia è il voler andare oltre i limiti della conoscenza.
Fra i ritratti più inediti indicherei il soggiorno romano di Freud, immerso nel culto estetico del bello e della dissipazione del proprio tempo. Oppure il museo vivente dell’intelligenza reattiva di Mario Praz.
Il compositore romano Marcello Panni viene descritto nell’atto di rievocare, mediante una sua azione teatrale, un momento della vita di Satie e Apollinaiere, nella Francia alle prese con l’epidemia della “spagnola”.
Luchino Visconti viene analizzato nella sua capacità di restituire alla realtà i fasti sepolti dei castelli bavaresi di Ludwig. In questo caso la progettazione di un film diventa l’occasione per riprendere un discorso smarrito con il passato e permettergli nuova vita.
Questa è essere visionari!
Sergio Mora
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