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I danni del Totem

Aggiornamento: 15 apr 2020




Per quanto ci si creda liberi, è ancora inevitabile dover fare i conti con punti di riferimento che sovente esulano dal panorama razionale. Ognuno ha il proprio dio, diceva un saggio. Einstein affermava che un dio c’è di sicuro (intendendo, però, con il termine divinità una forza superiore che tiene in piedi l’universo). Divagazioni a parte, il ricorso a qualcosa d’irrazionale quando la ragione sembra non tenere, sembra non poter giungere allo scopo, è

è abbastanza comune. E questo, senza tirare in ballo la psicanalisi, risponde in modo grossolano alle esigenze di una parte del nostro cervello che non si è sviluppato quanto la parola. La logica antropica non sa fare i conti con la logica primitiva che creava intorno a sé, e questo per millenni, un mondo di fantasia, fatto di totem adorati in modo ossessivo e brutale. Del resto, la natura umana appartiene alla natura animale, è individualista ed è competitiva. Il totem viene personalizzato e solo per quieto vivere lo si divide con altri, in quanto nella società viene individuata una garanzia di sopravvivenza maggiore della intrapresa individuale.

Grazie a un’evoluzione disordinata ma verticale, la ragione, in linea di principio, ha preso il sopravvento. Con l’avvento della scienza moderna, questa linea di principio ha avuto modo di concretarsi, e non solo formalmente. Quando Socrate, con la sua maieutica, raccomandava di approfondire le cose alla scoperta della verità, sapeva che l’impresa era quasi disperata, ma sapeva anche che l’uomo possedeva i mezzi intellettuali per fare quel che giustamente gli veniva richiesto. Socrate, condannato a morte dai democratici (un’assurdità, dato che il filosofo si batteva per il pensiero libero, purché responsabile), si era staccato dai sofisti (aristocratici) per smetterla di giocare con le affermazioni frutto di invenzioni di comodo (i Sofisti, in linea generale, dicevano la verità che conveniva a chi pagava meglio: Cicerone imparerà da loro). La verità, per lui, era, in fondo, la trasposizione della realtà in realtà comprensibile per l’uomo: il rischio della creazione di un mondo secondo, attaccato in qualche modo al primo, era forte. Ma Socrate non pensava alla realizzazione di un mondo dominato dall’uomo ordinario, bensì gestito da un uomo divinizzato tramite la razionalità.

Il pensiero socratico verrà ripreso dagli umanisti italiani del ‘400. Si trattava di personaggi, come Pico della Mirandola o Marsilio Ficino, fortemente preparati e fortemente motivati grazie all’azione psicologica della figura di Cristo (uomo e dio). Un’azione indiretta quanto persuasiva, specialmente per quanto riguarda la figura cristiana portata a terra ma tenuta nella mente. Un fenomeno, l’umanesimo, di enorme portata intellettuale, i cui effetti principali furono l’abbandono definitivo di ogni forma di adorazione irrazionale. Qualsiasi totem viene distrutto, mentre la spiritualità si arricchisce di speculazioni razionali che la rendono sublime, ineffabile quanto a portata di sentimento. E si tratta di un sentimento con i piedi ben piantati a terra.

A questo punto, possiamo parlare della scienza moderna con finalità utilitaristiche e porla, una volta ottenuti certi risultati (le rivoluzioni industriali ad esempio, la presa del potere reale da parte della borghesia), quasi sullo stesso piano della religione: bisogna avere il coraggio di dire che allo stato attuale permane quest’avvicinamento fra le due grosse differenze, religione e scienza, sino a sostenere che di totem stiamo ancora parlando. Le discipline umanistiche hanno subito un arresto. Senza di esse, come diceva assennatamente Benedetto Croce (ma anche Giovanni Gentile, suo amico peraltro, un amico meno fortunato) l’uomo non può crescere, non può veramente progredire. Le rivoluzioni industriali puntano al consumo purchessia e favoriscono evoluzioni di facciata. Il pragmatismo sfrenato porta a una meccanicità dei pensieri e dei comportamenti, limitati entrambi dal sistema in atto. Adottarlo in toto significa riesumare la mentalità totemica, una mentalità che ovviamente va in contrasto con la ragione e con la conoscenza

piena. Si ritorna a Socrate (non certo perché sia considerato un totem inamovibile) e alla sua maieutica, ovvero a un mezzo imbattibile per raggiungere l’obiettivo. Conoscere se stessi, come raccomandava anche Buddha, significa creare le coordinate per ottenere lo scopo della conoscenza.

Certo non è facile vivere senza totem senza punti di riferimento fissi: ma è come abbandonare se stessi a forze ritenute superiori che non si ha la forza di indagare. Si ha addirittura paura di scoprire che potrebbe essere rotto una specie di incantesimo nel quale si pensa di vivere al meglio, in fondo. Tuttavia la dignità intellettuale sprona a reagire, a non adorare più, a non essere più vittime di cose che non si possono controllare. Primo passo, l’allontanamento dal dogma religioso, dall’idolatria più smaccata. Secondo passo, la realizzazione di se stessi, ovvero togliersi dalla robotizzazione. Terzo passo: respirare aria pulita, essere coscienti e responsabili di ciò che si pensa e di ciò che si fa. Quarto passo: il rispetto nei confronti della ragione. Il resto sono bolle di sapone. Le menti libere devono avere stima dell’umanità e ispirarla a cambiare, naturalmente con argomentazioni ricche di umanismo e di umanesimo, per il bene di tutto e di tutti. La borghesia è ancora immatura (proviene dal pragmatismo vero) ma si è liberata del peso gravoso di una Chiesa per secoli padrona di corpi e di anime.

Dario Lodi




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