GUIDO CANTELLI NEL CENTENARIO DALLA NASCITA:
il mito musicale della ripresa nazionale e del boom economico
Erano trascorsi pochi mesi dal 25 aprile del 1945 e dalla macabra esposizione di piazza Loreto, quando il 27 luglio dello stesso anno, nel cortile del Castello Sforzesco, l’orchestra della Scala offriva alla cittadinanza un concerto diretto da un giovane sconosciuto: Guido Cantelli. Il suo nome emergeva a soli venticinque anni, dopo un veloce apprendistato nella sua città di Novara e dagli studi presso il Conservatorio di Milano. Il mondo artistico e l’opinione pubblica non erano molto disposti a riconoscerne le qualità. I suoi inizi non furono brillanti. Soltanto alcuni anni dopo, nel 1948, un concerto alla Scala, nella sede ricostruita, sancì l’improvvisa notorietà. L’Italia, uscita dalla guerra e dalla dittatura, aveva la necessità di rigenerarsi nell’arte, come nello sport, con nuove personalità appartenenti alla più giovane generazione, dimostrando in tal modo la continuità della sua tempra umana. In questo modo giovani come Guido Cantelli nella musica, Fausto Coppi nello sport, dimostravano lo spirito eroico della rinascita nazionale. Queste due esempi hanno in comune anche la tragica temporaneità delle loro esistenze, entrambe stroncate improvvisamente alle soglie del “boom economico” di cui furono in un certo modo gli annunciatori.
Il mito di Cantelli era stato promosso attraverso l’interessamento diretto di Toscanini che avrebbe visto in lui un altro sé stesso o addirittura un figlio. Era stato, in realtà, un gioco propagandistico in cui, con il consenso di Toscanini e di De Sabata, si voleva mostrare un volto giovane per il futuro della musica classica e della stessa Scala. Tutto questo, secondo un modello economico giovanilistico, tipico della cultura americana basato sul concetto di “self made man”, volto ad alimentare l’interesse delle nuove generazioni per la musica e l’acquisto dei dischi. Nasceva infatti, verso gli anni Cinquanta, un mercato sempre più ampio di produzioni discografiche, favorito dal “long playing” e dal sistema “stereo”, che rendeva appetibile l’ascolto della musica sinfonica. Cantelli, che sino a qualche anno prima viveva nell’oscurità e nel clima generale di rinunce dettato dal periodo post-bellico, improvvisamente si era trovato catapultato nella favola del successo, come in un musical di Broadway. Tutti i più celebri personaggi della musica e del cinema nonché della finanza, noti attraverso la stampa, erano diventati suoi diretti amici e conoscenti. Come tanti “vip” o arricchiti dell’epoca, si divertiva a passare le nottate nei locali notturni con il divieto di tornare a casa con ancora soldi nel portafogli. Era una sorta di rito pagano della ricchezza, un inno bacchico alla vita che rinasceva dopo la guerra attraverso l’esercizio delle proprie virtù e con l’aiuto della fortuna. Un modo per mostrare all’opinione pubblica che la vita stava riprendendo. Lo stesso stile di vita delle folli nottate di Onassis e della “dolce vita “ romana raccontata da Fellini.
Nel 1956 Guido Cantelli aveva raggiunto l’apice del successo. Era stato nominato simultaneamente direttore musicale del Teatro alla Scala e della New York Philarmonic orchestra. Nella vita priva era diventato padre con la nascita del suo unico figlio. Il 24 novembre si imbarca a Ciampino sul DC6-B delle linee aeree italiane diretto a New York. Durante un rifornimento di carburante a Orly, l’aereo prende fuoco ed esplode nell’aria. Dal disastro aereo si salvano solo due persone che erano state sbalzate fuori dal finestrino. Fra i resti fumanti del velivolo vengono trovate alcune pagine affumicate di partiture musicali e le scarpe di pelle di Cantelli. La grande favola era finita bruscamente, come se non fosse mai iniziata.
L’arte dell’interpretazione è spesso scritta sull’acqua. Ha basi liquide e sfuggenti che possono sbiadire con il passare del tempo. Per meglio conoscere Cantelli consigliamo alcuni ascolti discografici. Il celebre “Adagio per archi” di Barber, mai ascoltato in nessuna esecuzione attraverso quel vivo riverbero sonoro conferitogli dal direttore novarese. La stessa impressione di luce orchestrale, di vita interiore, ascoltiamo nelle sue esecuzioni di Haendel, di Vivaldi e di Frescobaldi. Brani di musica antica rinata nella poesia nascosta nella frase musicale. Il suo Brahms anticipa una visione razionale, logica e sgombra di estetismi che sarà tipica degli interpreti oggi più attuali. Troviamo in Cantelli le stesse indicazioni di approccio alla musica che Italo Calvino indicava nella letteratura: leggerezza, rapidità, esattezza, molteplicità, visibilità. Il suo precorrere i tempi lo rendono a noi più vicino. Altri musicisti seguiranno la sua strada incompiuta di uomo moderno.
Sergio Mora
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