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EZIO BOSSO recensioni



Ad un anno dalla sua scomparsa (14 maggio 2020) Ezio Bosso torna ad essere una presenza sempre più viva nel nostro mondo musicale ed educativo, attraverso due pubblicazioni molto significative di cui vi diamo conto.

Lo scorso anno, su queste pagine di Logos, abbiamo brevemente tracciato un profilo di questo singolare musicista del nuovo millennio mostrando la sua formazione ed alcune specificità del suo pensiero, questi due libri ampliano l'orizzonte delle nostre conoscenze.

Si tratta di due impostazioni editoriali molto diverse: Salvatore Coccoluto traccia un ritratto di Bosso a partire dall'ambiente urbano da cui proviene, sottolineando soprattutto l'aspetto modernistico e di “sottocultura”; l'altro volume raccoglie gli scritti editi ed inediti dello stesso Bosso dai quali è possibile entrare all'interno del suo pensiero variegato e privo di schemi predefiniti.

Il saggio di Coccoluto mostra la provenienza sociale del mondo di Bosso attraverso la frequentazione dei gruppi musicali sorti a Torino attorno a piazza Statuto. Il contesto comunitario, basato sulla solidarietà cittadina, l'influenza di alcune culture musicali d'oltralpe come i “Mod” mostra la sua tendenza giovanilistica verso una “ribellione elegante” unita ad una precisa definizione del suono. Il libro sottolinea anche l'influsso avuto su Bosso dalla cultura “minimalista” con John Cage e Philipp Glass.

Lo stile compositivo e quello interpretativo di Ezio

Bosso converge verso il “minimalismo” ma non è specificamente “minimalista”. E' lo stesso Bosso a prendere le distanze da ogni definizione chiusa in se stessa. Rispetto ai canoni “minimalisti” le composizioni di Bosso hanno una maggiore apertura verso la dimensione melodica, verso le sonorità ricche di “armonici” degli strumenti ad arco, quasi memore di una antica eredità vivaldiana. Il suo approccio “minimalista” evita la frammentazione tematica e la psicosi statica della ripetizione, preferendo una visione estensiva ed emotiva del materiale sonoro.

Il libro di Coccoluto mostra l'apporto di Bosso nell'ambito del mondo della danza e della musica per il cinema. Pochi conoscono il suo contributo all'interno della danza moderna

in qualità di coautore dei balletti della “Sidney Dance Company” o della “Scottish Dance Theater”. Il concetto di collaborazione all'interno di un collettivo di artisti è l'elemento fondamentale per la nascita e lo sviluppo del pensiero di Bosso: la musica di fa insieme. Da segnalare anche la presenza di Bosso nel mondo delle colonne sonore.

Come Philipp Glass anche Bosso si è cimentato nella ricostruzione musicale di alcune vecchie pellicole del cinema muto. L'esordio di Bosso nel cinema avviene proprio con la sonorizzazione del primo film di Hitchcock “The lodger”(1926).

Questi aspetti mostrano soprattutto la sua concezione compositiva complessiva della musica intesa come “arte applicata”, da inserirsi all'interno di un utilizzo concreto e non idealizzato.

Il percorso formativo e professionale del musicista torinese appare ben delineato dal racconto dello stesso Bosso nel volume “Faccio musica” che raccoglie tutti i suoi scritti e le

interviste rilasciate. L'aspetto di “controcultura” viene ridimensionato all'interno dei molteplici incontri della sua vita. Il suo essere un musicista di formazione “classica” assume un rilievo determinante per poter comunicare ad un vasto pubblico i grandi autori a lui cari.

Attraverso le parole del musicista viene mostrata in tutta la sua estensione il suo approccio alla musica, spesso provocatorio ma sempre suscitatore di idee e stimoli.

Nei suoi ultimi interventi scritti, Bosso evidenzia l'amarezza di essere “frainteso”, l'ingiusto comportamento delle istituzioni musicali nei suoi confronti, soprattutto il dolore umano di non poter avere “una casa per la musica”, un luogo in cui sviluppare il suo prodigioso laboratorio sonoro.

Dagli scritti di Bosso appare con estrema drammaticità e lucidità la battaglia da lui combattuta per rovesciare il rapporto fra musicisti e pubblico. Una visione della musica molto ampia, rivolta alla comunità ma anche agli stessi strumentisti come formazione di vita continua.

Molto interessanti sono i progetti televisivi incentrati su Beethoven (purtroppo mai realizzati) dove la comunicazione “mediatica” avrebbe dovuto modularsi nei riguardi del pubblico in modo molto innovativo, superando l'aspetto didattico e quello della mera ripresa concertistica. Sono appunti incompleti all'interno dei quali rileviamo l'essenza di una grande sogno che avrebbe potuto diventare realtà.

La passione di Bosso per Beethoven è l' immagine vivente della lotta per la vita, una immagine concreta necessaria per ognuno di noi e per le future generazioni.

Gli scritti di Bosso mostrano quanto fosse ampio il suo orizzonte artistico ed umano.

Nelle sue ultime parole si profilano aspetti davvero sconvolgenti della sua profondità di pensiero, per esempio le righe scritte durante i primi mesi della “pandemia” che coincideranno con gli ultimi mesi della sua vita.

Questi due libri, pur nella diversità di impostazione, ci mostrano come Ezio Bosso fosse più grande di quanto potesse sembrare: il rigore, il sogno e la passione sono gli elementi fondamentali della sua eredità.

Consiglio a tutti gli appassionati di arte e di musica di leggere


questi due libri perchè trovaranno motivi di riflessione su questi anni cruciali del millennio che stiamo vivendo.


Sergio Mora

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