Edward Hopper (1882-1967) nasce a Nyack, una cittadina sul fiume Hudson vicino a New York. Cresce in una famiglia piccolo borghese; i genitori sono titolari di un negozio di tessuti. Alto e magrissimo, viene chiamato grasshopper (cavalletta) dai compagni di classe. Da giovanissimo frequenta una scuola per illustratori. Nel 1899 anni passa agli studi di pittura nella Scuola d’Arte di New York, diretta da William Merritt Chase, seguace dell'impressionismo europeo. Dipinge il suo primo quadro nel 1895. Trova lavoro come illustratore pubblicitario, occupazione che fino al 1925 costituirà la sua unica fonte di reddito. Compie un primo viaggio a Parigi. Poi, nel 1907, visita Londra, Bruxelles e Berlino. Nel 1908 partecipa con un suo dipinto ad una mostra collettiva a Manhattan: i critici ignorano il suo lavoro. Nel 1909 torna a Parigi e si iscrive all'École des Beaux Arts. Poco interessato ai pittori contemporanei, studia i dipinti di Rembrandt e le scene parigine dell'incisore francese Charles Meryon. Viaggia ancora; nel 1910 è in Spagna. Dopo questi viaggi per l’Europa decide di ritornare negli Stati Uniti (vi rimarrà continuativamente sino alla morte). E’ un ammiratore della pittura impressionista francese e, più in generale, di tutto ciò che la cultura di quel paese esprime. Nel 1913 vende il suo primo dipinto, “Sailing”, che rimarrà sostanzialmente l’unica sua opera venduta per oltre un decennio. Decide di abbandonare la pittura e, dal 1915, si dedica all’incisione eseguendo puntesecche ed acqueforti, lavori che ottengono numerosi premi e riconoscimenti (anche dalla prestigiosa National Academy of Design). Nel 1920 si tiene la sua prima mostra personale dove viene esposto anche “Soir bleu”, dipinto che trae ispirazione da una poesia di Rimbaud (Sensation). E’ del 1921 “Night Shadows”, considerata l’incisione più significativa di tutti i lavori eseguiti con questa tecnica.
Nel 1924 espone alcuni suoi acquerelli.
Nello stesso anno si sposa con Josephine Verstille Nivison, anche lei artista, modella per tutti i personaggi femminili che avrebbe dipinto da allora in poi. Non avranno figli. Il loro è un rapporto burrascoso; al carattere estroverso di Josephine si contrappone quello di Edward, definito anche da chi gli era amico come “un uomo sì di straordinario talento, misogino, bigotto, competitivo e sociopatico”. Nel 1925 la sua tela intitolata “Apartment Houses” viene acquistata dalla Pennsylvania Academy. Questo è il suo primo lavoro a olio a entrare in una collezione pubblica e il primo quadro venduto dal 1913 in poi. Seguono poi“Automat”,
esposto per la prima volta nel febbraio del 1927 in occasione dell’inaugurazione della seconda personale di Hopper, presso le Rehn Galleries di New York, e “11 AM” del 1926 (la moglie Jo è la modella).
Hopper lavora molto lentamente. In particolare nella seconda parte della sua vita non dipingerà più di 2 o tre quadri all’anno.
Nel 1930 dipinge “House by the railroad”, il suo primo
quadro a essere acquistato per entrare a far parte, delle collezioni del Museum of Modern Art. Nel dipinto già si possono notare le caratteristiche del suo stile: forme ben delineate, luminosi paesaggi, una composizione quasi cinematografica e un senso tranquillità. Questo dipinto verrà utilizzato da Alfred Hitchcock come modello per la casa di “Psyco”,
Importante per la sua formazione è il contatto con William Merrit Chase e con Robert Henri, titolare del suo corso di pittura alla Ashcan School, luogo di contestazione, per un gruppo di pittori, al manierismo imperante.
Lo stile e la poetica di Hopper sono immediatamente individuabili. Dipinge paesaggi dove regna il silenzio, spesso senza alcuna presenza umana. Anche quando sono presenti figure maschili o femminili, la scena si percepisce come senza suono e parola. Le scene sono sempre malinconiche. Molte le immagini di case, luogo della semplicità dell’uomo (i coniugi Hopper conducono una vita molto sobria); ricorre spesso però un desiderio di libertà e le strade ferrate assumono il significato di una tensione verso spazi infiniti. Le persone che Hopper dipinge danno un senso di vuoto e silenzio. Anche quando sono in luoghi pubblici, sono distanti, riservate, e concorrono al formarsi di quella sensazione di solitudine ed estraneità al mondo. Le sue opere risultano fredde, la sua pittura quasi metafisica. Hopper sceglie deliberatamente di utilizzare un’immagine, un contesto e, quasi privandolo del suo senso reale, raccontare uno stato d’animo. Diceva: "Non dipingo quello che vedo, ma quello che provo". La sua è una realtà tutta interiore; non ha pretese di denuncia sociale o altro. Vuole comunque creare monumentalità e solennità, un gusto che gli deriva anche dalla sua passione per il teatro e le sue scene (Ibsen, in particolare).
Le opzioni che un artista ha ad inizio novecento non sono certo banali. Può sposare movimenti quali il cubismo, il futurismo, il fauvismo, l'astrattismo. Hopper rimane invece sempre indifferente alle avanguardie artistiche del novecentesco. Affermerà al riguardo che ”Una delle debolezze di tanta pittura astratta è il tentativo di sostituire le invenzioni dell’intelletto a una concezione derivante dalla pura fantasia.”. Hopper preferisce recuperare la lezione di importanti maestri quali Manet o Pissarro, Sisley o Courbet, riletti però in chiave metropolitana.
Nel 1929 il MoMa di New York espone le sue opere; in questo periodo della Grande Depressione il pittore comincia a dipingere immagini tristi. Nel 1933 sempre il MoMa gli dedica la prima retrospettiva. Hopper partecipa attivamente alla rivista "Reality", riferimento degli artisti legati al figurativo e al realismo, che si contrappongono all'Informale e alle nuove correnti astratte. La sua produzione artistica si fa sempre più caratterizzata. Arrivano i capolavori.
In “Gas“ (1940) veniamo proiettati fuori da un centro abitato. Il bosco al di là della strada è
fitto e vuole inquietare. Lo spazio della stazione di servizio è invece luminoso e rassicurante. Sembra quasi voler raccontare la scelta fatta da Hopper di vivere sempre in città (soggiorni al mare a parte) considerandola luogo di pace e semplicità, attribuzioni che solitamente vengono riservate alla campagna. Nel 1942 viene dipinta l’opera forse più famosa di Hopper: "I nottambuli". Il
quadro racconta la solitudine di una notte a New York. Tre persone attorno al bancone di un bar, ognuna chiusa nel proprio silenzio, nessuna comunicazione - Nighthawks(titolo originale), terminata dopo diciassette schizzi - è dipinta da Hopper avendo in mente “Caffè di notte” di Van Gogh. La bellezza del dipinto è data dagli infiniti scenari possibili che vengono lasciati alla fantasia dello spettatore sulle vicende dei personaggi e la bellezza nell’uso magistrale della luce artificiale. Nel dipinto si avverte immediatamente l’angoscia e solitudine di una grande città. Cresce il gradimento delle sue opere presso pubblico e critica, apprezzamento che durerà per tutta la sua vita. Hopper viene riconosciuto come caposcuola dei realisti americani. Del
1950 “Cape Cod Morning” e del 1952 “Morning sun”, forse gli ultimi due lavori di Hopper che suscitano un apprezzamento incondizionato della critica. Nel 1952 Hopper rappresenta gli Stati Uniti alla XXVI Biennale di Venezia.
Sul finire degli anni ’50 i lavori di Hopper cominciano gradualmente a suscitare meno interesse, quando si va affermando l’espressionismo astratto e brilla la stella di nuovi artisti come Jackson Pollock.
Dopo la seconda guerra mondiale nuovi movimenti si proporranno (Surrealismo, Dada, Astrattismo, Dripping). Lui li osserverà sempre con un certo distacco. Nemmeno gli ultimi tentativi di incasellarlo nell’universo dell’Iperrealismo (per le sue rappresentazioni quasi fotografiche) avrà successo. Comunque, anche definirlo un realista sembra a questo punto quasi un controsenso. Le sue rappresentazioni risultano tutto fuorché realistiche perché prive di suono e di vitalità. Anche Hopper, come molti altri grandi artisti, è unico, non esauribile con una definizione. Nel 1965,
realizzerà l’opera “Two comedians” nella quale è facile vedere ritratti lui e sua moglie Josephine che salutano il pubblico per l’ultima volta. Morirà nel 1967; Josephine lo seguirà
dieci mesi dopo.
Franco Vergnaghi
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