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DUE PAROLE SULLA CIVILTA' CINESE





La civiltà cinese ha un dato fondamentale dal quale non ha mai derogato, nel corso della sua lunga storia millenaria: un umanesimo concentrato con naturalezza sulle sole risorse umane nell’ambito e nella comunione con il tutto. A ben vedere, la civiltà cinese rispecchia il principio darwiniano per cui sopravvive il più adatto (non il più forte, in senso fisico, come è stato spesso travisato).

La singolarità dell’umanesimo cinese si trova nell’armonia con il mondo intero che sta alla base del pensiero relativo, le cui diramazioni (Buddhismo cinese, Taoismo, Confucianesimo e

altro) vivono in perfetta simbiosi, secondo lo spirito di conciliazione derivato dalla saggezza (ovvero dall’esperienza) e dalla santità (molto diversa da quella occidentale in quanto priva di trascendenza, ovvero l’esistenza sulla “cresta” del mondo fluttuante: visione, questa del mondo fluttuante, quanto mai aderente a una

realtà continuamente costruttiva). L’uomo cinese non è sottomesso agli eventi e non conosce il fato. Non ha riferimenti religiosi. Non deve ricorrere ai miracoli. Riti e cerimonie antiche sono il suo riferimento principale. Onorare gli antenati (per Confucio un dovere assoluto) è il modo migliore per riconoscere una continuità di vita ordinata, disciplinata e soddisfacente. L’uomo deve essere consapevole della propria posizione di privilegiato per semplici capacità razionali di apprezzare la Natura e di condividerne i gesti. La generosità della terra è il motore della civiltà contadina, per secoli dominante in Cina. L’uomo vuole conoscere, non cerca di sapere. L’umanesimo cinese non conosce la speculazione ossessiva degli Occidentali, non cerca di prevalere sulle cose. Accetta la filosofia del momento, si adatta traendo energie intellettuali e sentimentali dal passato, dai saggi, dai santi ( loro saggi, i loro santi).

La nozione cinese di un ordine mentale prestabilito da esempi di buona vita e da lasciti orali adogmatici quanto circostanziati, e quindi radicati nella psiche e nella personalità, vanno oltre le leggi scritte: questo spiega la difficile opera di colonizzazione da parte degli Occidentali, che, infatti, è stata per lo più superficiale. L’apertura all’Occidente, grazie alla globalizzazione dei mercati, non va vista come un cedimento. Il cinese non si pone tanto al servizio di un’altra cultura, apparentemente e materialmente molto vantaggiosa, quanto agli “ordini” (da non intendere imposizioni) delle decisioni interne, quelle del proprio governo, espressione, nella retorica patriottica, appunto di massima saggezza. Il governo starebbe indicando il modo per far vivere meglio i propri figli. Dalla scienza occidentale bisogna

imparare a prendere ciò che serve allo scopo di animare con più profitto morale e materiale il mondo cinese. Così dal sistema industriale e commerciale, sino a concessioni alla speculazione finanziaria (forse interpretata come una scorciatoia). Mao ha avuto il merito e la colpa di spingere la Cina fuori da un Medioevo che in parte era stato corrotto da un molle potere centrale, libero di agire impunemente per centinaia di anni. Il torto di pretendere la fine di una civiltà molto ben organizzata in nuclei contadini legati alla terra. Le grandi metropoli cinesi moderne non sono la vera realtà della Cina. Così come gli imperi passati. La vera anima cinese continua a rimanere nelle campagne. L’occidentalizzazione della Cina è molto parziale. Si può parlare di corruzione delle nuove generazioni, ma sotto l’occhio vigile di maestri di vita, a loro volta allievi di vecchi saggi. Tutto è relativo, sembra dire il saggio cinese con cognizione di causa, ma non bisogna accettare supinamente la relatività o spremerla sino all’osso, quanto conviverci serenamente, pronti per una nuova avventura di vita, a sostegno dell’uomo in sé, libero da gravami “parrocchiali” tanto cari agli Occidentali.


(Dario Lodi)




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