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Due parole du Jean Cocteau



Ci si riferisce principalmente a due testi: la famosa opera teatrale I parenti terribili (una sorta di tragedia greca) e la prosa del Libro bianco (quasi introvabile, ed. Guanda, a cura di Giancarlo Pavanello, anno 1963, con aggiunta di poesie erotiche). Cocteau morì proprio nel 1963. Era nato nel 1889. Il Libro bianco è la sua autobiografia giovanile. A distanza di tempo, il pensiero di Cocteau ha smesso di essere avanzato per entrare in una logica temporale condizionata dallo sperimentalismo e dalla libertà sino all’anarchia (nel senso deteriore del termine). Cocteau aveva conosciuto Proust, i due non si erano molto amati. Troppa la differenza d’impostazione del tema omosessuale: per l’uno, per Proust (licenze a parte) si trattava di qualcosa di platonico che chiamava in causa delle possibili affinità sensuali e intellettuali. Non c’era la corsa al sesso a tutti i costi. La prudenza, a questo riguardo, era sì un freno convenzionale e ipocrita che albergava negli ambienti borghesi di un certo livello, ma era anche una sorta di barriera fra comportamento animale e comportamento umano.

Questa barriera da Cocteau viene abbattuta con una certa facilità: basta la braghetta fuori posto di un amico per fargli venire la voglia di compiere un atto sessuale o di indurre l’amico stesso a compierlo su di lui. Non mancano dettagli crudi e volgari che tali sarebbero anche se etero. Miller nel Tropico del cancro, fa (in parte) la stessa cosa, ad esempio. Non si vuole certo condannare la sessualità, ma non si può neanche ridursi a esserne totalmente prigionieri. Cocteau come Pasolini sembrano imprigionati in una patologia adolescenziale dalla quale non riusciranno mai a liberarsi e della quale fanno uso per voler dimostrare che la cosa sia pienamente legittima. Come dire: uomo (giovane) sei fatto di carne e lascia che la carne abbia le proprie soddisfazioni. Ma a lato affermi: sono un uomo intelligente e so che la ragione dovrebbe avere la preminenza su quello che la natura impone.

Il timore di una reale patologia pervade l’autobiografia di Cocteau: diamogli atto di una sincerità assolutamente non comune, ma evitiamo di ergerlo a eroe di una crociata per la valorizzazione incondizionata dell’atto sessuale-animale. Ritorniamo sulla retta via: ripassiamoci le poesie di Giorgio Baffo, dove capiremo il giusto trattamento da riservare alla bassa sensualità. Baffo ironizza con garbo sull’argomento: le parole cosiddette oscene sono funzionali al tema di fondo che sterilizza la questione, rendendola giocosa. In Cocteau è, invece, un’ossessione che finisce con il rendere stuccosa la sua prosa, che è notevole ma monocorde troppo al ribasso. (Dario Lodi)




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