Rileggendo il celebre “De la Terre à la Lune” di Jules Verne e il proseguimento di quest’ultimo, “Autour de la Lune”, si può notare quanto le ardite invenzioni letterarie dell’autore avessero solide basi scientifiche, anche se è possibile rilevare qualche imprecisione in parte dovuta a certe false credenze dell’epoca sulle proprietà lunari, ma soprattutto al livello della tecnologia di allora non adatto per una missione del genere.
Jules-Gabriele Verne (1828-1905)
E’ considerato il padre del genere fantascientifico. Nel 2011 era l’autore di lingua francese più tradotto nel mondo. La sua opera nell’ambito dei “viaggi straordinari” annovera 62 romanzi e 18 novelle dal suo primo “Cinq semaines en ballon” del 1863, che conobbe grandissimo successo in Francia e all’estero. Dopo gli studi da avvocato, voluti dal padre, s’installò a Parigi, dove conobbe anche Dumas. La sua lunga carriera letteraria si chiuderà nel 1905 con la morte ad Amiens.
De la Terre à la Lune
Assieme al suo “Autour de la Lune” rappresenta un dittico fantastico che anticipa, cento anni prima, lo storico allunaggio avvenuto realmente il 20 luglio 1969 con la missione Apollo 11. Nel libro, tuttavia, l’equipaggio del proiettile ideato per l’impresa, costituito dagli americani Impey Barbicane, ingegnere e direttore del Gun Club di Baltimora e ideatore dell'impresa, dal capitano Nicholl, scienziato e costruttore di corazzate e dal bizzarro esploratore francese Michel Ardan, non metterà mai piede sul suolo lunare. I viaggiatori, loro malgrado, si dovranno accontentare di circumnavigare il satellite e di far ritorno incolumi parecchi giorni dopo seguendo un’orbita imprevista.
La Luna nelle credenze del XIX secolo
All’epoca l’esistenza di un’atmosfera lunare era oggetto di discussione tra gli scienziati. Le osservazioni al telescopio del 1877 dell’astronomo Schiaparelli dei famosi “canali”, inoltre, diedero origine a una ridda d’ipotesi sul fatto che la Luna potesse ospitare qualche forma di vita (i così detti “Seleniti”).
Nonostante le doti profetiche di Verne e l’esattezza di alcuni calcoli effettuati nei due libri (il secondo arriva addirittura a riportare esattissime equazioni di dinamica del moto valide ancora oggi), egli commise tuttavia alcuni errori facilmente riconoscibili alla luce del progresso scientifico. Tra di essi vi è la sottovalutazione dell’impatto impresso dal cannone alla partenza e quello del rientro nell’atmosfera terrestre, e il fatto di non aver ben descritto il fenomeno dell’assenza di peso degli astronauti.
Il cannone e la velocità di fuga dalla Terra
All’epoca il cannone era l’unico mezzo possibile per mandare in orbita un’astronave, i razzi non avendo sufficiente potenza per farlo. In realtà, per raggiungere la così detta “velocità di fuga” dalla Terra (quella minima per potersi allontanare dal campo gravitazionale del pianeta, cioè di 40.320 Km/h), gli astronauti sarebbero stati sottoposti a un’accelerazione pari a più di 20.000 volte quella di gravità, finendo ridotti come sottilette.
Il rientro atmosferico
Senza un’adeguata guida che permettesse al proiettile di rientrare nell’atmosfera con l’angolo corretto e, soprattutto, senza uno scudo termico di protezione, la navicella si sarebbe sicuramente disintegrata a causa del calore sviluppato dall’attrito con l’atmosfera, come accadde allo Space Shuttle Columbia nel 2003 proprio per un difetto del sistema di protezione.
L’assenza di gravità durante il viaggio
Sembra strano che una persona così accorta come Jules Verne abbia potuto (o voluto?) ignorare il fenomeno della levitazione degli astronauti per tutta la durata del viaggio. L’assenza di gravità (o meglio di peso), più volte verificata nelle missioni spaziali moderne, si spiega in base al fatto che un veicolo spaziale (a motori spenti) si trova in realtà in una situazione di “caduta libera”, ma la “forza apparente” del moto controbilancia esattamente l’attrazione gravitazionale. Nel caso di un’orbita circolare, ad esempio, il veicolo è attratto dalla forza di gravità del pianeta, ma quest’ultima è bilanciata dalla reazione centrifuga del suo moto orbitale. Anche nel caso di un veicolo diretto verso la Luna, l’equipaggio (e qualsiasi cosa all’interno) fluttuerà sempre, essendo attratto dalla gravità lunare ma respinto dalla così detta “forza d’inerzia” (quella che ci schiaccia contro il sedile quando un aereo decolla).
Conclusioni
Nonostante alcune inesattezze presenti nei due libri, l’avventura raccontata da Verne rappresenta un capolavoro di fantasia creativa basata su argomentazioni scientifiche molte delle quali valide ancora oggi. E’ la fase embrionale dell'era spaziale, certamente basata sulle credenze e sulle tecnologie esistenti allora, ma che non ha mancato all’epoca di scatenare un altissimo interesse per l’astronomia e per i viaggi spaziali. Interesse che continua ancora oggi dopo più di cento anni. (Luca Maltecca)
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