Canaletto (Giovanni Antonio Canal), nasce a Venezia nell’ottobre del 1697. Il Padre Bernardo è un pittore di scena, così come anche il fratello. I loro lavori si sviluppano nel solco della tradizione barocca. Anche Canaletto, così chiamato forse per la sua bassa statura (o per distinguerlo dal padre), inizia la sua attività artistica dipingendo scenografie, decidendo poi di abbandonare questo genere esclusivamente decorativo. Nel 1718 si trasferisce a Roma dove ottiene ancora un paio di committenze per lavori agli sfondi teatrali. Inizia però a dipingere “dal vero”: il soggetto viene studiato sul luogo e successivamente dipinto nel suo studio. Utilizza moltissimo la camera oscura, strumento che essendo portatile, gli consente di tracciare i contorni dei soggetti scelti, direttamente all’aria aperta (con limite dello strumento che consente una corretta messa a fuoco dei soli soggetti immobili). Nel 1720 si iscrive alla Fraglia (corporazione) dei Pittori di Venezia. Rapido è il suo inserimento nell’ambiente artistico veneziano, conosce Piazzetta, Tiepolo suo coetaneo e il paesaggista Marco Ricci.
Nelle sue prime opere vengono preferiti i colori scuri, retaggio probabilmente della pittura seicentesca. Di ciò ne troviamo un esempio in “Santa Maria d'Aracoeli e il Campidoglio” del
1720, ora esposta a Budapest, opera con la quale Canaletto comincia a prendere confidenza con le “vedute”.
Una svolta decisiva per la sua vita d’artista avviene quando conosce Gaspar Van Wittel (padre di Luigi Vanvitelli) già affermato pittore di vedute e i lavori dei Bamboccianti (caposcuola è il maestro Pieter van Laer noto appunto a Roma con lo pseudonimo di Bamboccio per il suo aspetto di fanciullo), artisti usi a riprodurre scene di vita popolare. Tornato a Venezia, stringe contatti con i vedutisti veneziani (Luca Carlevarijs e Marco Ricci in particolare).
Sin dai primi lavori emerge la grande sensibilità del giovane Canaletto per luce e ombra. Dipinge soggetti che appaiono talvolta simili ma con grande capacità di modificarne le atmosfere ricorrendo a luci più o meno calde, a tonalità più chiare o più scure. Utilizza a volte più di una fonte di luce nel medesimo quadro. Dipinge una Venezia bella, allegra e ricca, riproducendo fedelmente il paesaggio naturale e urbano. Dipinge anche paesaggi di fantasia con rovine classiche. I suoi lavori di questi anni vengono spesso inseriti nel grande contesto del barocco.
Arrivano però anche le prime critiche: lo si accusa di essere sì padrone della tecnica, rispettare rigorosamente le regole della prospettiva, ma di mettere poca anima nei suoi lavori, con il risultato di riuscire a proporre solo opere statiche, esclusivamente celebrative e prive di una visione artistica profonda.
Troviamo infatti molti autorevoli apprezzamenti per le capacità tecniche, da Roberto Longhi a Federico Zeri che dirà: «tutto viene messo a fuoco con una lucidità impressionante e da questo quadro si potrebbero ricavare una quantità di dettagli, tali da ricavare un intero volume, perché non c’è nessun elemento che sia trascurato o trattato come un accessorio di fondo. Tutto è disposto con puntuale e scrupolosissima lucidità, le distanze, i colori, lo stesso cielo”; rari sono però gli apprezzamenti della sua poetica. Canaletto non si scoraggia per le critiche, anzi. Arrivano i lavori più apprezzati dai suoi contemporanei: “La chiesa della
Carità” o “Il cortile dello scalpellino” (1727-1728), il “Ricevimento dell’Ambasciatore Francese a Palazzo Ducale” del 1727, prima composizione a carattere celebrativo dell'artista, conservata al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo, “Il Bucintoro al molo il giorno dell'Ascensione”, datato 1730, opera che raffigura quella che era forse la festa maggiormente sentita da parte dei veneziani, e cioè lo sposalizio del mare, che si teneva ogni anno il giorno dell'Ascensione.
Verso il 1735 entra nel suo atelier il nipote Bernardo Bellotto. In breve tempo Canaletto
diventa uno dei pittori più affermati di Venezia e per lui i committenti non mancano mai. Uno dei primi è il mercante lucchese Stefano Conti. Quasi tutte le opere continuano però a descrivere una Venezia che si compiace dei sui suoi fasti nonostante il declino irreversibile già cominciato (terminerà nel 1797 con la fine della millenaria indipendenza della Repubblica).
Molto importante è il sodalizio con il banchiere e mercante Joseph Smith. Ricchissimo collezionista d'arte e poi console britannico a Venezia tra il 1744 e il 1760, diventa il principale intermediario tra il Canaletto e i collezionisti inglesi. La pittura dell’artista veneziano è infatti molto apprezzata, oltre che dai francesi, dai giovani dell’aristocrazia britannica a Venezia per il Grand Tour. Le sue opere sono richieste dai nobili inglesi (lungo l’elenco) e dal feldmaresciallo Johann Matthias von der Schulenburg, riformatore dell’esercito veneziano ma, soprattutto, grande collezionista d’arte (nella sua collezione figurano opere di artisti come Raffaello, Correggio, Giorgione).
A causa del diradarsi dei visitatori inglesi a Venezia dovuto alla Guerra di Successione Austriaca, Canaletto parte per l’Inghilterra, dove comincia a raffigurare i tipici paesaggi calmi e privi di architetture complesse della brughiera inglese. Gode a Londra della “protezione” di Sir Hugh Smithson futuro duca di Northumberland. Malgrado questa autorevole protezione i rapporti con gli artisti locali sono difficili. Arrivano a dire che lui non è il vero Canaletto. Lui risponde con un’inserzione sui giornali locali invitando a recarsi al suo studio per vederlo dipingere.
Canaletto ha un carattere difficile che condiziona i suoi rapporti umani. Non si sposa e non ha famiglia. Viene definito “scontroso ed esoso, avido e ingordo” (Owen McSwiney, impresario irlandese); “avaro e imbroglione” (conte Carl Gustaf Tessin, collezionista d’arte e mecenate svedese).
Al ritorno a Venezia (1756 -1757), migliorata situazione politica europea, continua con il suo lavoro ma con opere di minor qualità. Talvolta realizza opere con “capricci”: opere che presentano ambientazioni reali con l’inserimento di elementi fantastici. Importante, per questo periodo artistico, il celebre “Capriccio Palladiano”, conservato presso la Galleria nazionale di Parma. Ha ancora qualche committenza straniera (il mercante tedesco Sigismund Streit) ma, soprattutto ha un nuovo contendente: Francesco Guardi, più giovane di lui, che gli sopravvivrà un quarto di secolo. Guardi racconta una Venezia meno solenne, più amara e malinconica di quella di Canaletto, decisamente più autentica e coinvolgente della pittura splendente di Canaletto. Secondo alcuni, il Canaletto non sarebbe altro che un "pittore-fotografo", un meccanico riproduttore della realtà circostante. Nell’Ottocento la fortuna critica dell'artista scende ai "minimi storici": l'arte del Canaletto viene letteralmente stroncata in particolare da John Ruskin (scrittore e critico d’arte britannico) nella sua opera Modern painters: “Il manierismo del Canaletto è il più degradato che io conosca in tutto il mondo dell'arte”.
Certamente bene non fa a Canaletto l’immediato confronto con il Guardi, artista indubbiamente più completo e tecnicamente altrettanto talentuoso.
Solo dalla seconda metà del Novecento i giudizi sull'arte del Canaletto diventano più positivi, a cominciare da quello di Roberto Longhi che nel 1946 lo chiama “il grande Antonio Canal caposcuola dei vedutisti veneti del Settecento”.
Canaletto muore, inspiegabilmente povero, il 19 aprile del 1768 ed è sepolto nella chiesa di San Lio a Venezia.
Franco Vergnaghi
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