Quando si parla di Appiani (Giovanni Andrea Melchiorre) è facile lasciarsi condurre dagli stereotipi che da sempre lo accompagnano che vogliono la sua fortuna legata solo a Napoleone.
Nasce a Milano il 31 maggio 1754 e viene battezzato, tre giorni dopo, nella chiesa di San Carpoforo. Figlio di un medico, cresce in un ambiente culturale vivace. Nel corso degli anni stringe amicizie importanti con Parini (docente di letteratura a Brera), Piermarini e, più tardi, Monti e Foscolo. Lavora inizialmente come scenografo alla Scala. Poi si reca a Firenze.
Trentenne aderisce alla massoneria, adesione che diventerà più stringente durante gli anni napoleonici, quando si affilierà alla loggia milanese “Amalia Augusta” e diventerà Guardasigilli del Grande Capitolo Generale della Massoneria Italiana. E’ immaginabile che questa sua affiliazione, datata 1785, diversi anni prima dell’arrivo di napoleone a Milano, abbia comunque influito sulla scelta di Andrea quale pittore prediletto della Repubblica Cisalpina.
L’Appiani universalmente conosciuto è quello che dipinge le grandezze di Napoleone. In realtà, già dal 1780, la sua produzione artistica gode di larga fama in Lombardia (suo principale estimatore Carlo Giuseppe Firmian, Governatore austriaco in Lombardia) quando la maggior parte dei soggetti dei suoi dipinti sono di natura religiosa. Basti ricordare La cena di Emmaus, commissionata dalla Confraternita degli Osti di Milano, l’Adorazione dei Pastori di Arona, la rappresentazione dei Quattro Evangelisti nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso, l’Incontro di Giacobbe e Rachele (Alzano Maggiore).
E’ anche vero che in questo periodo inizia a dipingere soggetti mitologici, manifestando quella sensibilità al neoclassicismo che caratterizza tutta la sua produzione.
Primo grande incarico: L’arciduca Ferdinando d’Austria, governatore di Milano, lo chiama ad affrescare la Villa Reale di Monza. Basta l’apprezzamento del Firmian e di Ferdinando D’Austria a smentire che le fortune di Appiani dipendano solo da Napoleone. Vero è che le sue influentissime amicizie milanesi e, come detto, l’appartenenza alla massoneria, lo agevoleranno nel diventare il “pittore di corte” (termine quanto mai improprio) della Repubblica napoleonica.
Negli ultimi anni del secolo Andrea gira per l’Italia: Parma, Bologna, ancora Firenze, Roma e infine Napoli. Nel 1792 si sposa con la fiorentina Costanza Barnabei, pittrice dilettante e sua allieva.
Nel 1796 arrivano i francesi a Milano e Appiani è chiamato a svolgere moltissimo lavoro.
Luglio 1797: partecipa, con il Piermarini, alla predisposizione degli apparati decorativi per la celebrazione della costituzione della neonata Repubblica Cisalpina
1796-1806: intensa produzione di ritratti di Napoleone. 1796 Ritratto di Napoleone (Pinacoteca Ambrosiana); 1801 Ritratto di Napoleone (Brera); 1801 Ritratto a tre quarti di Napoleone (Museo Napoleonico de L’Avana); 1801-1802 Ritratto di Napoleone all’antica (Londra); 1803 Ritratto di Napoleone Presidente della Repubblica Italiana, solo per citarne alcuni.
Ottobre 1800: è nominato Commissario per le Belle Arti (si occupa del censimento del patrimonio artistico della Repubblica). Tra il 1800 e il 1807 dipinge il ciclo “Fasti di Napoleone” (Palazzo Reale). Di fatto diventa il pittore “ufficiale” di Napoleone. Nel 1811 dipinge il “Parnaso” (Villa Reale di Milano).
E’ poi improprio identificare la sua attività di ritrattista con la sola rappresentazione di Napoleone. Andrea aveva già dipinto negli anni precedenti – e con esiti molto buoni – i ritratti di Giulia Beccaria Manzoni, Francesco Melzi D’Eril, Antonio Canova, Vincenzo Monti.
E’ forse del periodo “napoleonico” il momento più complesso della sua sensibilità neoclassica. Se è vero che nei dipinti napoleonici raggiunge livelli qualitativi eccellenti, l’eccessivo utilizzo di orpelli decorativi appesantisce un po’ la sua produzione, inquinando la purezza estetica dello stile del Winkelmann (il motivo va forse ricercato nella precedente collaborazione di Andrea con Giuliano Traballesi, artista dal gusto spiccatamente barocco).
Napoleone regala ad Appiani una casa sul naviglio di San Marco. Successivamente Andrea abiterà, sino alla sua morte (1817) in Corso Monforte. Viene nominato cavaliere della Legion d'Onore e della Corona ferrea e membro dell'Accademia di Brera.
Le opere che Appiani ci lascia sono di una qualità e sensibilità fuori dal comune. Il suo dipingere beneficia degli insegnamenti di Carlo Maria Giudici (1768 – studio delle proporzioni del corpo umano) che lo indirizza alla pittura lombarda del ‘500 (di cui manterrà per sempre la visione naturalista dei soggetti). Viene poi contagiato dalla febbre neoclassica di quel tempo che lui riesce ad interpretare anche alla luce delle idee illuministe. Gli stessi ritratti non presentano mai immagini fredde, didascaliche ma lasciano trasparire il sentimento dei soggetti ed un proprio calore nella rappresentazione. Qualcuno si è spinto a definire il suo stile come un vero e proprio trait d'union tra la morbidezza del tratto leonardesco e la grazia del classicismo. E poi, indubbia influenza ebbe anche la frequentazione e poi lo studio all'Accademia Ambrosiana del frescante Antonio De Giorgi, con il quale approfondì la pittura di Leonardo e del Luini (ed in particolare la tecnica dello “spolvero” per il trasferimento del disegno sulla superficie muraria). La sua formazione fa si che anche i suoi lavori più squisitamente neoclassici appaiano meno illustrativi e più vivi.
Appiani merita quindi di essere rivalutato. Non un pittore di regime ma un artista completo per capacità tecniche e ricchezza di senso estetico che interpreta stili e periodi artistici diversi, condensandoli in opere di straordinario gusto visivo e ricco messaggio emotivo
Franco Vergnaghi
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