… La vita è possibile soltanto se si fonda sulla trascendenza. (Volontà e destino, pag. 196)
Una frase del genere, su un diario personale, pone ancora più in evidenza la figura di pensatore di Karl Jaspers (1883-1969), filosofo apolide di area tedesca, come amava definirsi negli ultimi anni della sua vita. Jaspers ebbe una cattedra di filosofia a Basilea, lui sessantenne, dopo che i suoi concittadini lo avevano prima osteggiato (era a Heidelberg) e subito dopo, all’annuncio della “fuga” a Basilea, pregato di restare perché la nuova Germania aveva bisogno di lui. Jaspers capì che non della sua filosofia si parlava, ma del suo personaggio pubblico, ormai affermato, da esibire come un manichino (espressione sua). L’impressione del grande filosofo sorgeva certamente dall’indifferenza verso la questione ebraica (la nuova Germania prese a comportarsi come se nulla fosse stato) e la mancanza, quindi, della svolta civile che lui riteneva necessaria. Jaspers non si sentiva sicuramente tedesco nel senso di nazista (sua moglie era ebrea e la coppia non visse bene nella Germania di Hitler) bensì cittadino del mondo con dna rigorosamente teutonico, nel senso di Kant e di Hegel. Il nostro filosofo incarna il meglio di questa tradizione, grazie a una chiarezza espositiva miracolosa se si pensa ai tomi dei suoi “colleghi” spesso contorti, labirintici e gravidi di concetti formalmente profondi (Husserl ad esempio). Fra i molti suoi libri, davvero interessante La mia filosofia (1981). Da aggiungere che negli anni di magra (di fame vera e propria) del secondo dopoguerra, Jaspers fu aiutato da Hannah Arendt che, come ben si sa, scrisse intorno al processo Eichmann. La Arendt gli inviava pacchi di cibo, senza i quali avrebbe rischiato di morire di fame.
E torniamo alla frase riportata che va in contrasto con le idee di Jaspers. Ammiratore di Spinoza e di Kierkegaard, in modo particolare, il nostro filosofo discetta, nel secondo libro citato, di razionalità al centro del mondo. La costruzione logica del pensiero, gira intorno alla certezza della estrema validità del sentire e del pensare umano. Ne esce una realtà quasi matematica, nella quale la ragione umana pone con esattezza ogni tassello, così a formare un quadro comprensibile fisicamente e metafisicamente. La metafisica, così come per Spinoza e per Kierkegaard, non è un problema facile da risolvere con le risorse intellettuali dell’uomo. Jaspers ha il coraggio di aprire una finestra sull’ignoto: in apparenza è l’ammissione di un certo limite speculativo, più verosimilmente è la sottolineatura di una energia “speciale” grazie alla quale è possibile riconoscere un quid oltre se stessi che guida verso la perfezione. È il panenteismo (ogni cosa è un pezzo di Dio) in opposizione all’arcaico panteismo (Dio è ovunque per emanazione trascendentale).
Forse nessuno, nel XIX secolo, come Jaspers si è inoltrato con tanto acume e tanta sensibilità su questo vecchio terreno lasciando tracce indelebili.
Dario Lodi
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