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RACCONTI TERRESTRI E LUNARI




Il senso


Il senso di ciò che portava al suo fare ormai gli sfuggiva. A volte era un tormento, come una lama che gli trapassava il cranio da parte a parte. Non sapeva come toglierla e questo semplice fatto andava ad aumentare il suo disagio. Un po’ prendeva la cosa sul serio e un po’ no. Stava meglio nel secondo caso. Nel primo, era disturbato da un dolore indescrivibile, non tanto intenso, quanto continuo. La lama s’era sistemata lì e da lì non si muoveva. Sembrava che avesse trovato una collocazione ideale. Ma, poi, c’era da considerare la pesantezza del capo e quel ciondolare a destra e a sinistra alla ricerca almeno di un equilibrio. Si chiama decenza estetica e pazienza se non serve a niente. Era quella sensazione di vanità, nonostante il dolore, nonostante il disagio, ad innervosire Adamo. Come dire, mi sento pienamente consapevole di una specie di condanna, tutto ciò che penso, tutto ciò che faccio è inutile, non porta a niente, eppure la subisco malamente, con malanimo, con malcelata disperazione. Non si ha a che fare con una disperazione normale che arriva e passa, secondo consuetudini collaudate, bensì con qualcosa di nuovo che cancella la parola ch hai detto, il passo che hai compiuto, il battito di ciglia. È già tutto passato. Il presente è una finzione, il futuro una fantasia. Adamo, al presente, si sentiva un burattino nelle mani di un bambino dispettoso. E temeva fortemente che non fosse una cosa per niente seria. Aveva voglia di spremere le meningi e di precipitare in fondo al pozzo alla ricerca del Sacro Graal. Concetti di comodo, oggetti di latta e tanta polvere. A questo punto, spuntò la questione dei sentimenti e furono spine conficcate in tutto il corpo. Che delusione sapere che i sentimenti non contavano nulla! Lo sai, disse Adamo a se stesso, che tutti i sentimenti volano via? E dove finiscono? Finiscono dove sono iniziati. Sono cose tue, tue debolezze, tue illusioni. E tue delusioni. Ti tenderanno una mano per compassione e tu farai altrettanto. Ma la compassione resta fra noi. Perirà con noi, Non creerà suggestioni. Verranno riprese e copiate, tipo copia-incolla, e resteranno nel grande-piccolo museo umano. Segregate. Adamo non capiva bene quello che diceva, tanto meno quello che pensava, e non si capacitava di quel che sentiva dentro di sé. Perché mai una simile tribolazione? La coscienza non poteva fermarsi a constatare? Cosa scatenava una curiosità indebita, una curiosità che andava ben oltre la constatazione, senza offrire approdi decenti? Il male causato dalla lama conficcata nella testa era finalmente insopportabile. Adamo si concentrò su quel dolore spirituale, divenuto tanto forte da tramutarsi in dolore fisico. Una tortura. E fu una tortura che lo salvò da ulteriori indagini. Il dolore gli interruppe certe possibilità pseudo-speculative e gli regalò una sorta di dolore sano, inventato tanto bene da sembrare vero. Una distrazione nella quale si ritrovava. Benedetta perché Adamo non poteva più pensare: la sua attenzione era sulla lacerazione della carne. Combinò così la faccenda, immaginando una possibile via d’uscita nella considerazione inevitabile di un dolore autentico: rappresentava non polvere, ma carne palpitante. Elevando il suo coraggio a sopportare la ferita, si sentiva reale, sentiva di aver una identità e che questa identità, sul momento (un momento in qualche modo eterno), era più importante di qualunque astrazione. Fu una trovata. Un disperato colpo di coda. Efficace. Forse.


Dario Lodi




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