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Le 8 montagne



V“… eVui , cu’ siti? A cu’ apparteniti?” Non saprei introdurre il tema dell’appartenenza con altre parole se non con queste che, pur nei suoni della moderna Calabria, riproducono le domande degli antichi Greci. Sono, infatti, le stesse che Diomede, l’invincibile eroe greco, rivolge al giovane Glauco, figlio del Re della Licia, che militava tra le fila dei Troiani. Sul campo di battaglia i due si studiano e la tensione tra di loro è altissima: il giovane non teme l’avversario che è molto più forte di lui, mentre Diomede è incerto se davanti a lui ci sia un dio oppure un uomo, tanto è il coraggio che l’altro dimostra. Finché non gli chiede: «Chi sei tu?» Dalla risposta di Glauco e dal conseguente, reciproco dialogo, viene fuori che i loro antenati si erano non solo conosciuti ma anche scambiati i sacri riti dell’ospitalità. E, in virtù di questo e solo di questo, i due abbandonano il campo di battaglia giungendo persino al punto di scambiarsi, da amici, le armi. (Iliade, libro VI, versi 140-265). Ai nostri tempi il concetto di appartenenza è uscito dall’ambito greco delle genealogie e si è allargato tanto da abbracciare molti e più estesi campi come quello dell’ambiente naturale, sociale e culturale per arrivare a quello che a me sembra il più significativo di tutti, l’appartenenza a sé stessi, che a volte cammina in armonia con gli altri e a volte è con essi in aperto conflitto. Analizzerò questo tema in tre appuntamenti diversi, attraverso tre opere dei nostri giorni:

  • Le otto montagne del milanese Paolo Cognetti;

  • Il cielo comincia dal basso della calabrese Sonia Serazzi;

  • Troppa felicità della canadese Alice Munro;

Le otto montagne


Le otto montagne di Paolo Cognetti, pubblicato da Einaudi nel 2016 e vincitore del Premio Strega nel 2017, ci parla del difficile percorso intrapreso dal protagonista per spogliarsi delle soffocanti sovrastrutture che la vita gli ha imposto e ritrovare la sua vera essenza, in quell’appartenenza a sé che, se tradita, genera solo doloroso straniamento. Il titolo fa riferimento alla cosmologia del mandala buddista nepalese che mostra otto montagne con, al centro del mondo, il monte Sumeru, dalla cima che può essere raggiunta solo da pochi eletti mentre gli altri, nel tentativo di farlo, sono condannati a vagare per tutte le altre che lo circondano. Ma, alla fine del percorso, chi avrà imparato di più? Chi ha fatto il giro delle otto montagne o chi è arrivato in cima al monte Sumeru? E nel libro il giovane milanese Pietro ripercorre la fatica della sua ricerca personale attraverso le tappe che lo hanno visto protagonista insieme al suo amico montanaro Bruno, in una Valle d’Aosta allo stesso tempo bellissima nella natura e decadente nell’incuria dovuta all’abbandono dei suoi abitanti.

Osservavo… lo strano contrasto tra la desolazione delle cose umane e il rigoglio della primavera… Le tre baite deperivano, i muri si ingobbivano come vecchie schiene, i tetti cedevano al peso degli inverni; intorno era tutto un germogliare di erbe e fiori.

Lamontagna dell’infanzia: in questa prima tappa si assiste alla strutturazione del carattere e


della personalità dei due piccoli amici. La vicenda ha come teatro la località di Grana, in Val d’Aosta, dove Bruno vive abitualmente da pastore e dove la famiglia del protagonista va a trascorrere le vacanze estive per scappare da un’insopportabile, frastornante e alienante Milano. I due si danno all’esplorazione selvaggia del territorio cercando ambedue di venir fuori dalla solitudine famigliare in cui si trovano: Pietro, con un padre emotivo, autoritario, insofferente e una madre forte, tranquilla ma conservatrice,che si erano creati intorno come una gabbia in cui finiva per essere rinchiuso anche lui; Bruno con una madre sempre mentalmente assente, un padre lontano e indifferente e parenti a cui di lui non importava granché. Montagna dura da scalare, dunque, sia quella reale valdostana sia quella metaforica dell’infanzia.

La casa della riconciliazione:la stessa montagna offre ai due amici diventati ormai grandi la possibilità della riconciliazione, col padre detestato il primo, e con le difficoltà parentali il secondo. Il tutto grazie a un lascito ereditario di un luogo ai piedi del Monte Rosa che Pietro riceve in eredità dal padre.

E sapevo, una volta per tutte, che avevo avuto due padri: il primo era l’estraneo con cui avevo abitato per venti anni, in città, e tagliato i ponti per altri dieci. Il secondo era il padre di montagna, quello che avevo solo intravisto eppure conosciuto meglio, l’uomo che mi camminava alle spalle nei sentieri, l’amante dei ghiacciai. Quest’altro padre mi aveva lasciato un rudere da costruire: allora decisi di dimenticare il primo e di fare il lavoro per ricordare lui.

In tale luogo i due amici si costruiscono un rifugio spartano, privo di ogni cosa che non sia essenziale , un rifugio materiale e spirituale per ognuno di loro e per chiunque si trovi a passare da quelle parti. La montagna, in genere dura e a volte spietata, diventa così il luogo che con i suoi silenzi e la sua solennità porge il balsamo necessario per ritrovarsi in pace con sé stessi e con gli altri.

Le otto montagne: il luogo in cui si assiste alla presa di coscienza che forzare la propria natura e le proprie inclinazioni è il peggior tradimento che si possa fare a sé stessi. Bruno lo ha fatto inventandosi un lavoro da imprenditore che gli era estraneo e che lo ha portato al collasso economico e famigliare:

Ma che cosa mi ero messo in testa di fare l’imprenditore? Io non so niente di soldi… Uno deve fare quello che la vita gli ha insegnato a fare… Io sono capace di vivere in montagna. Mi metti quassù da solo ed io me la cavo.

Dall’altro lato, Pietro ha cercato la salvezza abbandonando la città odiata e costringendo sé stesso a percorrere le otto montagne dell’espiazione per tentare di arrivare al monte Sumeru della conoscenza, ben conscio che, per coloro che come lui e suo padre si portano in cuore il feroce dolore di aver perso sulle cime un amico, “non si può tornare a quella montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia.” Insomma, siamo dinanzi a un romanzo di potente introspezione psicologica, in cui la descrizione della montagna non risulta mai decorativa ma veicolo di riflessione profonda sulle problematiche della dimensione umana.



Luisa Ranieri





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