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La Cina è più vicina



I recenti accordi commerciali Italia-Cina sembrano a favore dei Cinesi. Attualmente vendiamo per circa 14 miliardi all’anno a Pechino e compriamo per 20. Ma la seconda cifra è falsa perché importiamo da ogni dove suoi prodotti. La fabbricazione di beni di basso contenuto tecnologico è stata esportata da un pezzo, grazie a una globalizzazione insensata. Ora probabilmente si vorrebbe andare oltre, in altre parole fornire una tecnologia maggiore. Non si capisce cosa possa dare l’Italia alla Cina, Paese nel quale non esiste il problema di reperire beni di consumo, semmai quello di distribuirlo equamente (ma questo è un problema generale). Il passo fatto dagli Italiani è spiegabile attraverso la ricerca di fonti d’investimento da parte di aziende eccellenti che vogliono espandere il loro potere e i loro guadagni, tenendo per sé l’uno e gli altri. Statisti occidentali l’hanno capita da tempo, tacitando i poveri, depredati di lavoro e dignità, attraverso un reddito minimo di sopravvivenza, senza il quale i consumi crollerebbero a picco. La previsione di Orwell (un mondo di pochi padroni e tanti schiavi) si sta quindi avverando. La Cina pare avere in programma il primato mondiale produttivo e commerciale entro il 2024. Nel suo dna, tuttavia, non c’è ancora l’elemento che determina l’autentica padronanza delle cose, e cioè la forza finanziaria che risiede nella confidenza storica con la credibilità creditizia, grazie ad una provata capacità di maneggiare le risorse prime: i soldi. Oggi non si fanno producendo bensì investendo a livello altissimo. E qui la Cina è indietro. Farà la fine dell’Unione Sovietica, assorbita interamente dal mondo occidentale?




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