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Billie Holiday

Aggiornamento: 23 set 2020




“Gli alberi del Sud hanno uno strano frutto: sangue sulle foglie e sangue sulle radici… Questo è l’inizio di Strange Fruits, la canzone che sarà il suo successo perenne e la sua filosofia di vita fino a quel maledetto 17 luglio del 1959. Proprio quel giorno Lady Day consumata dall’incontrollato uso di stupefacenti, logorata dai suoi 44 anni di vita smodata, con una voce ancora ruvida ed angelica ha deciso di dirci addio.

Era un talento naturale che cercava di sopravvivere nella New York degli anni trenta, quella raccontata magistralmente da Francis Scott Fitzgerald, quella che dopo l’età del Jazz (1919-1929) l’unica volta in cui si associa il jazz ad un periodo di prosperità e spensieratezza dovuta soprattutto alla fine della prima guerra mondiale e al fenomeno della produzione industriale di serie, alla nascita insomma, della società dei consumi. Questa società che sprofonda all’improvviso nella crisi peggiore che il mondo economico abbia avuto portando nel baratro tutto ciò che incontra, una porta dell’inferno per i più deboli senza speranza.

Ed è proprio qui che muove i primi passi la quindicenne Elinore Halliday che conobbe molti soprusi, l’onta della prostituzione giovanile e la galera.

Rimessa in libertà, per evitare di prostituirsi cercò lavoro come ballerina

in un locale il Log Cabain dove, il proprietario scioccato dalla sua voce le offrì un contratto


(da quattro soldi) come cantante, ma il lunario era sbarcato. Qui le altre cantanti cominciarono a chiamarla “Lady” (la signora) per via del fatto che Billie si rifiutò sempre di ricevere le mance dei clienti prendendo, come facevano tutte, le banconote tra le cosce.

Ma la sua voce era di più, era vigorosamente drammatica, aveva un’attitudine a gestire il tempo come se volasse su di esso, sapeva dare un senso anche alle esecuzioni più banali.

Ma Lady Day rappresentò ancora di più, fu tra le prime cantanti nere ad esibirsi assieme a musicisti bianchi. Nei locali dove cantava, Billie rimaneva chiusa in camerino fino all'entrata in scena, dove si trasformava in Lady Day. Una gardenia bianca tra i capelli neri, divenne il suo segno distintivo.

Rappresentò l'emblema delle discriminazioni razziali cantando coraggiosamente e con un intensità fuori dal comune le struggenti parole di questa canzone che divisero l'America:

                              Strange Fruit

(EN)

«Southern trees bear a strange fruit Blood on the leaves and blood at the root Black body swinging in the Southern breeze Strange fruit hanging from the poplar trees...»

(IT)

«Gli alberi del sud hanno un frutto strano, sangue sulle foglie e nelle radici, un corpo nero penzola nella brezza del sud, un frutto strano che pende dai pioppi...»

(Strange Fruit)

La schiavitù non è mai terminata, la voce di Billie sottolinea che a distanza di una settantina di anni dall’abolizione, la stessa ha subito una trasformazione.

1934 zona industriale di Saint Louis (e non in una piantagione) l'80% della popolazione nera era disoccupata e coloro che invece lavoravano erano sottoposti a condizioni simili a quelle degli schiavi. Come le note della Holiday entrano nel cuore dei presenti anche altre forme



d’arte come il dipinto di Joe Jones American Justice (1933), uno dei quadri di maggiore impatto che rappresentano quegli uomini incappucciati richiamano avvenimenti tornati alla ribalta.

Una voce per metà roca ma non come siamo abituati a sentire che poi improvvisamente si trasforma in un cinguettio da usignolo quasi da soprano decisamente diversa da tutte quelle sentite fino ad ora colorate, timbriche ma uniformi, qui si tratta di trasformismo quasi un Picasso che da un periodo rosa passa al cubismo trasmettendo emozioni che nessun altro sarà in grado di trasmettere.

Ha suonato con i più grandi, ma la sua vita fu sempre in un mare in tempesta caratterizzato da relazioni burrascose, con frequenti colpi di testa e problemi finanziari. Gli abituali eccessi d’ira, l’amplificazione dei conflitti familiari dovuti all’abuso di alcool accentuato da consumo costante di droga che nel lungo periodo portò a Billie a una pluralità di problemi fisici tra cui i suoi disturbi epatici, il suo corpo cedette organo dopo organo, ma la voce pur minata da questa vita sconsiderata continuò a vivere fino all’ultimo concerto dell’8 Aprile ‘57 che in quell’occasione si ritrovò rara e fantastica. La sua performance fu amarissima e penetrante…la voce di chi ha vissuto fino in fondo la sua musica pur non conoscendola.


Giovanni Sessa




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