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APPUNTI DI VIAGGIO - La zona grecanica



Era finalmente giunto il momento di recuperare il famoso trekking dell’Amendolea che, anni prima, le era stato proposto dagli amici archeologi e che, per una serie di motivi, aveva perso.


Ad Agosto erano giunti da Ancona dei cari amici del periodo universitario bolognese, Fernanda e Maurizio, incantati dalla natura selvaggia della Calabria.

Parlar loro della zona grecanica, in provincia di Reggio Calabria, e decidere di andarla a visitare fu un tutt’uno.

Si tratta di un’area davvero particolare: ricca di verdi e profumati bergamotteti fino a una certa altezza, più su brulla, desolata nei mesi caldi, eppure bellissima.

I dintorni della grande fiumara d’estate sono talmente secchi che anche i fichidindia che ne riempiono le pendici e gli anfratti risultano come svuotati della loro linfa, quasi accartocciati su se stessi.

Agosto non è certo il migliore dei periodi per darsi all’esplorazione di quei posti, soprattutto se si parte alle 10:00 del mattino e si affronta la salita su per le pendici dei monti nel pieno della calura estiva.

Bisogna andarci di pomeriggio, quando il sole comincia a perdere un poco la sua luce lancinante e il suo feroce calore.

Ma questo, Mara e gli altri, lo avrebbero compreso solo a gita ultimata.

E, dunque, in macchina si inerpicarono su per le montagne del reggino.

Nell’abitacolo l’aria condizionata andava al massimo ma il fresco non arrivava, perché fuori c’era un caldo talmente intenso che la strada stessa sembrava sciogliersi nei suoi vapori.

A Condofuri Superiore la prima sosta per comprendere subito che si trattava di un paese in via d’estinzione, con i suoi pochi abitanti rimasti (per di più anziani) e una sola rivendita di generi alimentari (piuttosto sguarnita).

Avrebbe fatto la fine di Roghudi e di Pentadattilo, dove al più resisteva una sola famiglia (o un solo componente di essa) che orgogliosamente rifiutava il progresso e rimaneva abbarbicato alla propria montagna?

Un vero peccato perché, ogni tanto, dalla mezza costa, arrivava un alito di vento profumato di monti e di mare insieme, di limoni e di bergamotti: un luogo di beatitudine molto simile all’Eden primigenio.

Poi su su per la montagna, nel deserto delle persone e anche della vegetazione che diventava sempre più rada e stentata.

“Ma chissà com’è rigogliosa – pensava Mara – d’inverno, in quegli inverni di velluto che la Calabria regala ai suoi abitanti mentre, in gran parte, nel resto d’Italia, tutto viene bruciato dal gelo.”

Ed, ecco, arrivarono ai paesi posti più in alto, a Gallicianò e alla sua minuscola, splendida chiesa.

Da lassù si apriva una vista mozzafiato con il letto della fiumara che, asciutto, serpeggiava tra le montagne aspre e secche verso l’azzurro rinfrescante delle acque del Mar Ionio… lontano… laggiù…

Poi la ridiscesa dei nostri esploratori, con Mara che si mostrava baldanzosa e invece cominciava a sentirsi male.

«Lei è disidratata» le disse un giovane che, tra le quattro case di un paesello posto più in basso, stava lavando con una cannella di abbondante e fresca acqua la sua macchina.

Notando l’arsura del gruppetto, si mise a innaffiare anche il loro mezzo bollente e, notando soprattutto lo stato di Mara, non solo diagnosticò il suo male, ma la fece anche rinvenire bagnandola con la grazia di quell’elemento.

«Sono un medico» le disse poi, prestandole soccorso.

E, mentre Mara, a poco a poco, rinveniva, si chiedeva perché mai le succedesse, a ogni esplorazione in Calabria, di star male al punto da perdere quasi i sensi, come se i luoghi, insieme alla loro solenne bellezza, le trasmettessero, come le stava succedendo per la zona grecanica, anche la loro sofferenza, e lei la facesse talmente sua da subirne un folgorante shock psichico.


Luisa Ranieri




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