Aldo Capitini, morto mezzo secolo fa (era nato nel 1899 a Perugia), fu definito il Gandhi italiano. Come tale operò, infatti, per tutta la vita con entusiasmo e perseveranza.
Non poteva andare d’accordo con il Fascismo: di fronte alla richiesta di prendere la tessera, da parte del filosofo Giovanni Gentile, che lo stimava, Capitini rispose di no, lasciando la Normale di Pisa (ateneo del quale era stato nominato segretario, nonostante il suo status di autodidatta). Maggiore ascolto ebbe da Benedetto Croce, fresco rivale di Gentile (e antifascista dopo il delitto Matteotti) che gli fece pubblicare alcuni scritti. La personalità di Capitini è caratterizzata dalla spiritualità evangelica colta nel concetto di fratellanza umana. Nulla di astratto, nulla di metafisico, nulla di divino in senso ortodosso, bensì un attaccamento sincero e sentito alle parole di pace e di carità contenute nel Cristianesimo. Non siamo a una venerazione irrazionale, tanto meno a un’aderenza passiva al dettato ecclesiastico (come è invece per la Chiesa nelle alte sfere), siamo piuttosto a un’estrapolazione di principi ugualitari dal Vangelo che il senso democratico del filosofo perugino sapeva individuare alla perfezione, avvertendo la necessità di metterli in atto al più presto.
La sua avversione al potere della Chiesa è ben rappresentata dal commento che fece all’indomani dei Patti Lateranensi (1929): “Il Fascismo ha avuto il merito di far capire che la Chiesa non vuole svolgere il suo mestiere sopra le parti”. Ovviamente non sono le parole esatte, ma il senso è sicuramente rispettato. Capitini patì il carcere duro per le sue idee, senza mai demordere, senza mai abbandonare il suo esaltante programma laico. Creò, dopo la seconda guerra mondiale, dei centri di orientamento sociale, fondò, con altri, un riferimento Liberalsocialista, scaturigine del Partito d’Azione (al quale non aderì). Sostanzialmente, il Nostro, non voleva legarsi a nessuna formazione tradizionale temendo di vedere inquinati (anche involontariamente) i suoi propositi: pace mondiale, rispetto per la Natura e specialmente per gli animali (era diventato vegetariano) considerazione verso ogni essere umano. Ma Capitini andava oltre, ritenendo necessaria la nascita di una vera democrazia (“omnicrazia” la chiamava). Conosceva benissimo i danni dell’oligarchia, di ogni oligarchia, sapendo, quest’ultima, un abuso a vantaggio di pochi. Non credeva in Gesù figlio d Dio, non si soffermava sulle “verità” bibliche, tanto meno sui dogmi (secondo lui vere e proprie forche caudine). Aveva sposato, con convinzione, il senso della lezione cristiana, ben superiore, in termini morali, all’Antico Testamento che la Chiesa cattolica, in fin dei conti, esercitava maggiormente (dio punitivo versus dio misericordioso). Era devoto alla libertà di pensiero e si batteva perché gli uomini fossero riconosciuti tutti meritevoli della stessa attenzione. Da buon idealista, trascurava, però, le ragioni relative alla nascita e all’affermazione dell’oligarchia, senza rimuovere le quali è impossibile realizzare un mondo migliore. Ma certo, il suo impegno, enorme per quantità e qualità, mette in secondo piano disamine storiche e giustifica la concentrazione sull’attualità, sul quadro desolante della condizione umana che Il Fascismo prima ha fortemente rivelato e che la ricostruzione poi, anziché fondare una possibilità di catarsi, era pronta a riavviare. Solo, fra mille opinioni interessate e prigioniere volontarie di contingenze, Capitini manteneva vivo e vegeto il suo grande idealismo, regalandoci sogni possibili come pochi. (Dario Lodi)
Comments